giovedì 18 dicembre 2014

Aspetto

L'acqua che bolle. 
Aspetto che si riscaldi, la verso nella tazza, quella blu che ho comprato all'ikea appena arrivata a Roma, ci metto dentro una bustina di tè alla vaniglia. 
Aspetto. 
Mangio un biscotto.
Aspetto.
Mi siedo sul letto con le gambe incrociate.
Aspetto.
Sento che il mondo fuori può andare dalla parte che vuole, non m'interessa.
E possono dire quello che vogliono, pensare il peggio di me, pensare il meglio o non pensare affatto. 
Guardo l'acqua colorarsi di tè. La stanza odora di vaniglia e di mela verde. 
Aspetto.
Sì, non ho paura di niente. Non oggi, non ora. 
Sono qui, mi vedete? E sorrido di voi e di me, sorrido dei miei dolori e della vostra pochezza.
Mi sento innamorata e idiota.
E lui probabilmente si sente solo idiota. 
Non m'importa. 
Mi sento di non valere niente.
Mi sento di essere capace di tutto.
Mi sento.

"Perché hai compreso che non c'è posto 
per lamentarsi delle avversità 
e solo l'aria ci salverà, 
una casa in campagna, una tazza di tè, 
un letto grande e tutte le mele che vuoi."
Lo stato sociale
Io, te e Carlo Marx 

mercoledì 24 settembre 2014

Colui che non deve essere nominato

Colui che non deve essere nominato ogni tanto bussa alla porta di qualcuno ed entra in casa senza chiedere permesso. 
Prende i quadri e li mette storti, cambia il colore delle fotografie, dipinge di grigio le pareti delle stanze e non gliene frega nulla se quella stanza, prima, era di un bel giallo accesso o rossa o arancione. 
Colui che non deve essere nominato esiste, c'è, arriva e si porta via tutto. 
Le risate, le speranze, la gioia, le promesse, i progetti. 
Che un giorno sei lì che pensi a comprare la libreria nuova per i bambini e il giorno dopo ti ritrovi seduto per terra a guardare la parete vuota. Senza libreria, senza libri, senza futuro e senza rabbia.
Ti prende a braccetto e la gente ti vede che passeggi con lui e tu la vedi, la gente, che abbassa subito lo sguardo o si fa il segno della croce. 
Come se un dio qualunque abbia davvero il potere di cambiare le cose. 
Io che lo vedo, io che non sono la gente, mi faccio venire le palpitazioni, faccio la vaga e cerco di prendermi la rabbia degli altri per trasformarla in forza. 
Non dormo la notte e faccio le ricerche su google: come cacciare di casa colui che non deve essere nominato. 
Dodici anni fa era a casa mia, me lo ricordo.
Aveva la faccia gialla e i capelli a forma di cresta, le dita lunghe e magre, rideva con noi anche se non aveva la forza. 
Ma dodici anni fa ero una bambina e a guardarlo negli occhi mi faceva paura. 
Io che guardo lui che guarda me che guardo lui. Abbassavo lo sguardo perché non riuscivo a reggerlo. 
Dodici anni dopo, oggi, non lo so se sono grande per lottare e fare il gioco di chi abbassa prima lo sguardo.
Lui c'è di nuovo e per due. 
Ma questa volta non ci trova piccole, spreparate e sole. 
Ci trova insieme e minimo se la dovrà vedere con più occhi, più braccia, più gambe, più cuori e più forza.
E se ne andrà. Per due. 


lunedì 22 settembre 2014

Cose


Non ho niente da dire, ho finito le parole. 
Mi sembra di conoscerne giusto quattro in fila e di non poterne uscire da questa cosa.
Cosa, vedete. Non riesco a definire più nulla. 
C'è stato il tempo delle domande, delle richieste, delle giustificazioni.
Adesso c'è il tempo delle parole che mancano, dei cieli che cadono, delle case senza foto, di gelati mangiati piangendo e ridendo, di telefoni che non parlano ancora ma contengono le verità. 
É un anno nuovo e io stessa, probabilmente, sto prendendo coscienza di quanto sarà terribile, fantastico e straziante insieme.
Non so quale sarà la parte che predominerà: mettendole su un bilancino le novità brutte superano di gran lunga le belle novità.
Non vuol dire un cazzo, mi ripeto.
Mi brucia lo stomaco mentre penso a tutto quello che penso. 
Sapevo che partire, lasciarmi tutto alle spalle, avrebbe reso certi contorni meno sfocati.
Mi ci sono voluti venti giorni a Roma per fare pace con le mie budella, per convincermi che se qualcosa di sbagliato c'è (e ci sarà) non è solo con me che devo prendermela.
Adesso ho un collage di immagini che ripasso ogni tanto nella mia testa.
Adesso parlo cuore a cuore con una donna che mi ha raccontato le sue fragilità e mi ha fatto vedere il suo mondo, che se me l'avessero detto sette/otto mesi fa io mica ci avrei creduto e vi avrei detto siete pazzi, io che parlo con quella dei cazzi miei?
Invece, le cose succedono così come succede che ti arriva un'email e non hai voglia di chiamare nessuno, ma l'anno scorso alla stessa notizia avresti fatto i fuochi d'artificio, e allora fai lo screen shot al telefono e solo per dire che, guarda un po', mi sta capitando anche questo.
E con certe gente non ci parli proprio più o ci parli poco e con formalità, come farebbero due appena separati che mantengono rapporti civili solo perché aspettano la sentenza da un giudice.
Non voglio essere assolta, non me ne frega un cazzo di quello che dicono.
Esco il sabato sera struccata, il giovedì pomeriggio invece metto rimmel e rossetto rosso per poi prendermi la cazziata da chi ogni giorno mi augura il buongiorno.
Come se adesso, oggi, in questo momento, mi interessi davvero di lui e dei giochi di ruolo dove un giorno sono io a volerti e il giorno dopo sei tu.
E sono stanca, ma davvero, di capire dalle cose non dette, dei cuori, delle telefonate con la voce rotta dal pianto e dalle preoccupazioni.
Voglio una tregua.
Solo quella.



venerdì 12 settembre 2014

Questione di scelte sbagliate

E quindi non lo sai cosa senti per me, perché sì, stai bene e sei così legato ma poi non è che mi pensi spesso.
Hai detto che lo sai che non sono perfetta però per te un po' lo sono e quando conosci altre ragazze le paragoni a me.
Hai detto che non eri sicuro dall'inizio, che hai paura, che non riesci a capire se vuoi stare con me oppure no.
Hai detto che lasciarmi andare ti pesa ma non puoi chiedermi di sopportare la tua non curanza, i pochi gesti d'amore.

E io che ho fatto, a parte piangere e urlarti contro che non mi meritavo tutti questi mesi così se lo sapevi già?
Perché dovevo innamorarmi solo di qualcuno che avrebbe spostato le montagne per me e, invece, chissà perché, sono tornata da te.
E mi sentivo felice stretta nel tuo abbraccio e anche questa volta ho pianto sulla tua maglietta che ti ho bagnato completamente in un misto di lacrime e saliva.
Anche stavolta hai visto il peggio di me e più piangevo e più non respiravo.
Volevo che mi fermassi e mi dicessi che potevamo affrontare insieme le tue paure, che saremmo andati avanti insieme, fianco a fianco. 
Perché io forse ti amo e allora dimmi perché tu invece non senti quello che sento io e dimmi perché scelgo sempre la storia sbagliata. 

lunedì 8 settembre 2014

2

Secondo Google ieri era il mio compleanno, mi ci ha messo anche il doodle con la torta e le candeline e se ci passavo sopra con il mouse mi usciva fuori la scritta "auguri Emme".
Quindi, a questo punto, ho numero due compleanno non festeggiati per niente (e l'anno non è ancora finito). 
Tra qualche giorno, Giovedì 9 per essere esatti, questo blog spegne due candeline. 
Risparmiamoci la commozione e le lacrime che negli ultimi mesi l'ho proprio trascurato e chissà se mai riuscirò a essere costante come voi. 
In questi giorni, al blog è presa una specie di malattia gravissima che fa sì che arrivi spam come se non ci fosse un domani: 10 commenti anonimi al giorno, sempre e solo in inglese, per propormi diete, siti mai aperti, punti di vista diversi dal mio ma sempre su altri siti mai aperti. 
Ditemi come si fa a liberarsene perché io non so cosa ho fatto, se l'ho fatto e perché ma giuro che non era mio intento chiamare in causa tutto il web e attirarmi tutta la pubblicità del mondo. 
Sempre per il blog, l'amica F. mi ha fatto la simpatica intestazione, solo che lei l'ha fatta con sfondo bianco e blogspot lo fa diventare grigio. 
Non abbiamo capito il motivo e io sono incapace, quindi o mi trovate una soluzione o ci teniamo questo sfondo grigio e triste.

Per il resto, piccole Ansa dalla mia vita: 
- devo studiare ma non ho voglia
- ho quest'allergia insopportabile e perenne che si aggiunge al mio setto nasale deviato. Oggi, cioè adesso alle 2 passate, mi sono trovata a spulciare forumalfemminile per capire se c'è un medico a cui posso rivolgermi a Roma e fare, finalmente, sto benedetto intervento
- sono a dieta, again and again and again. Ho comprato frutta e verdura e mangio solo roba integrale e se avessi un eurospin vicino comprerei anche il latte di soia al cioccolato (sì, l'unico latte di soia che mi piace lo vendono all'eurospin)
- a proposito del punto precedente, proprio in questo momento mi è venuto in mente che potrei seriamente soffrire di ipotiroidismo come mia madre, mia nonna, mia zia e tutta la generazione amen. Adesso vado a cercare su forumalfemminile il da farsi.
- Si è capito che sono tornata a Roma?

venerdì 22 agosto 2014

La pioggia è uno stato d'animo

Ora diciamocelo senza tanto girarci intorno: questa è l'estate più noiosa e cheduecoglioniquandofinisce dal 10 A.C a oggi 2014 D.C.
Passato il tempo di merda, che sia chiaro a me andava benissimo, anche perché stateci voi al settimo piano a Roma, non appena è arrivato un po' di caldo ci si aspettavano grandi cose da quest'estate.
E invece: un cazzo.
Encefalogramma piatto e neanche un Derek Shepard a tentare di salvare la situazione.
Il fatto è che io il mare lo schifo ma pure stare in montagna a fare nulla non è che mi faccia impazzire.
Con i milioni di libri che mi attendono, se finalmente voglio prendere sta benedettissima laurea, e la voglia pari a zero di studiare, mi sono cullata tra una storia d'amore struggente che ha degli alti e bassi che neanche le montagne russe di Gardaland, delle amiche sociopatiche che non per niente sono amiche mie e uno stuolo di amici di Facebook che hanno pubblicato tramonti e albe sul mare come se non ci fosse un domani.
Ma prima, quando non c'era Facebook, ma neanche instagram, il sole tramontava lo stesso?
Abbiamo delle prove in merito?
Anche gli over 50, che per me dovrebbero essere interdetti da usare i social network, hanno pubblicato panze e culi all'aria pensando di fare cosa gradita a tutti.
Per carità, belle le foto di voi che mangiate le linguine allo scoglio, anche quelle di voi distesi sul lettino del lido più inculato della Sicilia, anche il vino bianco che sorseggiate con la cena e poi, i gelati, le passeggiate serali, la fidanzata che sbava sulla tovaglia mentre cerca di diventare nera come Carlo Conti.
Tutto assolutamente bellissimo.
Ma farvele ste vacanze senza fare la cronaca a noi poveri cristi che siamo rimasti in città e che di vedervi a mollo a mare non ne abbiamo proprio alcuna voglia?
Ma l'estate finirà, fatevene una ragione e voi, originali come sempre, tornerete a pubblicare wake me up when september ends e poi November rains dei Guns N' Roses e poi sarà di nuovo Natale e si salvi chi può, se può.
Quest'anno però la novità assoluta sarà vedervi commentare la pioggia non con la solita piove senti come piove, madonna come piove, senti come viene giù - che, tra l'altro, sfido chiunque a sapere come continua dopo questa frase - e sono certa che anche i più originaloni non andranno a scomodare Britti con Agosto che già è lontano ma voi siete tanto vicini anche se piove sulle scale, no, quest'anno la vera novità sarà vedere le foto delle vostre finestre mentre piove con didascalia: la pioggia è uno stato d'animo.
Io ai Dear Jack gli voglio un bene che ho tifato fino alla fine come una quindicenne in preda all'ormone, anche perché sono frutto di quel genio di donna che è la nostra Signora Maria della tv, ma voi me lo volete spiegare che vuol dire che la pioggia è uno stato d'animo?
La pioggia è uno stato d'animo tanto quanto voi siete fatti di sole e avete il mare dentro.
Beati voi che io, invece, sono fatta di acqua e infatti ho un sacco di ritenzione idrica.

lunedì 28 luglio 2014

L'unico sogno che ho



Che cosa lo scrivo a fare che mi sento persa e senza un posto nel mondo? 
C'è bisogno davvero di scriverle queste cose?

Sentirsi a casa ovunque e da nessuna parte.
Sentirsi parte di qualcosa ma di niente in particolare.

Quest'anno non ho soffiato neanche una candelina, neanche un accendino acceso.
Che io, poi, in fondo, neanche ci tengo. 
E comunque, questo conto pari un po' non lo sopporto.

L'avere aspettative è una merda e io ogni volta dico che la smetto di aspettarmi qualcosa, un invito, una sorpresa, un sorriso, e dico che non pretendo niente e, in effetti, io non pretendo niente però ho quelle aspettative che poi finiscono sempre nel cesso. 
La mia vita è fatta di pensieri piccoli per la gente che ho intorno. 
Un messaggio, un cuore, un mazzo di fiori, una sorpresa, una lettera, un abbonamento premium a spotify, un treno preso al volo, un aereo prenotato qualche giorno prima, il piccolo principe illustrato e con dedica in prima pagina.
Solo che, a quanto pare, solo la mia vita è fatta di pensieri piccoli perché gli altri, la vita degli altri, è fatta di cose che io neanche so.
E io, dagli altri, la devo smettere di aspettarmi qualcosa.
Che ne so un cuore, un invito a cena, un esci fuori che sono qua davanti casa tua.

La vita in questo periodo in cui non ho un posto del mondo e faccio la vagabonda per l'Italia, zaino in spalla e reflex da qualche parte anche perché non è mia, mi sta insegnando che non devo fare domande ma pensare che nessuno ha voglia di stupire nessuno, che ciò che è importante per me non è detto che lo sia davvero.
Ho imparato che tutto si risolve dicendo: sono fatto così o non posso farci niente.
E non le uso le virgolette, o come si chiamano, che ci ho fatto una discussione che è durata una serata su quali sono le virgolette da utilizzare quando si deve citare qualcosa.

Mi sono rotta il cazzo.
Di me stessa, soprattutto.
Del senso d'inadeguatezza, delle aspettative, delle illusioni, dei sogni e delle speranze.

Ecco, io, in questo periodo, l'unico sogno che è ho è di rinascere con gli occhi verdi.
E vaffanculo al resto.

lunedì 16 giugno 2014

Azzurri

Gli occhi azzurri.
Azzurri come se fosse il primo cielo di primavera, come se fosse l'infinito.
Gli occhi azzurri come se fossero di una ragazzina che muove i primi passi nella vita, con i primi amori e i primi sorrisi. E invece no.
Sono le sue mani rugose a ricordarmi che solo quegli occhi azzurri sono rimasti giovani, è il letto d'ospedale, è la camicia da notte messa al contrario, è il fatto che per parlarmi ci mette un po' perché anche una frase richiede uno sforzo.
Mi tiene la mano e me la stringe, mi guarda fissa negli occhi.
"Si sempri bedda".
Grazie, le dico.
Ride come rideva sempre, prima di quel letto, di quella camicia da notte al contrario. Prima che succedesse tutto quello che è successo.
E io sono di nuovo piccola, una ragazzina in un vestito bianco e nero, con i capelli appena piastrati e la sto guardando come adesso.
Lei, però, è davanti la cucina e asciuga i piatti con una pezza. Mi guarda, ride: "Cchi ssì bedda".
Una scena che si ripete, in condizioni diverse.
Suo marito, dal lato opposto al mio, le accarezza l'altra mano, la bacia.
"Hai visto chi è venuto a trovarti?".
Ho visto, dice lei. Falla sede accanto a me, aggiunge.
Parliamo di come sta, di come vanno le cose, di quando tornerà ad alzarsi.
Sono stanca, mi dice.
Lui, suo marito, continua ad accarezzarle la mano. Dorme al suo fianco da 59 anni, anche adesso che non possono dormire nello stesso letto.
Dorme sul divano e la notte, se lei non riesce a dormire, la passano a parlare.
Anche del futuro.
Di come festeggeranno i 60 anni di matrimonio, per esempio. Del diamante che arriverà in regalo, del catering, del vestito.
"Non è che mi vuoi lasciare da solo?" gli dice lui.
Lei ride e dice solo che è stanca.
"Ma come mi alzo?".
Non ti preoccupare, gli dice lui, penso a tutto io.
"Devi solo metterti un poco in forze".
E lei, ci prova a mettersi in forza e ci prova a lottare, a mangiare, ad alzarsi.
Il suo corpo, però, è troppo stanco.
E io non lo so come si lotta contro un corpo stanco.
Anche se hai gli occhi giovani.


martedì 20 maggio 2014

Àncora (ancòra)


L'odore delle melanzane fritte, dei suoi capelli ricci al cocco, del borotalco sulle canine scodinzolanti.
L'odore del negroni sbagliato, del profumo sul collo, della carne sulla brace, del vino rosso.
L'odore degli abbracci, dell'erba, della pioggia sulle strade.
L'odore del bucato fatto dalla mamma, del gel di mio fratello, del beauty pieno di trucchi di F., dei fiori davanti l'ingresso.
E poi l'odore delle strade di Roma, della pizza rossa, della vita tutta mia.
L'odore delle trecce castane di Gì, dei saponi della bionda, del bucato fatto da me.

C'è vita negli odori, c'è vita in tutti i posti che per ora chiamo casa (e sono più di uno).
C'è vita nei posti che non sono casa ma è come se lo fossero perché, poi, alla fine, è vero che basta che ci sia qualcuno che hai dentro il cuore perché tutto diventi improvvisamente e infinitamente giusto.
E la verità che io, quando mi abbracci, mi sento a casa e mi sento felice e sento che questi due anni sono serviti per farmi tornare. Più forte di prima.
Mantienimi quando tremo e non farmi vibrare troppo, mantienimi quando mi sgretolo e trova un motivo per restare, sempre.
Trovami un motivo per non farmi scappare.
Ti chiedo sempre troppo e corro, non mi fermo, sogno.
Sii la mia àncora, se ti va.
Diventa il mio posto dove tornare, diventa il mio luogo.
Ho bisogno di crederci e di scommettere su qualcosa che non riguardi solo me.
Credici anche tu, almeno un po'.


martedì 15 aprile 2014

Ti vedo


Io ti vedo.
E ti vedo per intero, ti vedo tutto.
Ti vedo quando arricci la bocca e però un po' ridi che non vuoi fare capire alla gente se è una cosa che ti piace oppure no, se ti fa ridere oppure no.
Ti vedo quando alzi il sopracciglio, quando ridi, quando hai l'espressione scocciata, quando sei stanco, quando sembri contento, quando non mi guardi neanche per sbaglio e quando, invece, ti fissi a guardarmi con quell'espressione che non so capire, che non so interpretare, ma sembra dolce.
Ti vedo quando rido e dico cose sceme e tu dici ma dai e però lo so che ti diverti anche tu un po' e lo so che pensi ma questa dove me l'hanno fatta trovare, ma questa, perché? 
E ti vedo chiaramente, a volte di più e a volte di meno.
E ti vedo così bene, anche quando non ti capisco, che non ho bisogno di trucchi, di giocare, di usare tattiche.
Non ho bisogno di controllare, di stare a guardare il tuo cellulare e il tuo computer, di mettermi vicino a te quando stai scrivendo un messaggio.
In un'altra vita l'avrei fatto.
Avrei guardato il tuo cellulare, avrei letto cosa scrivi alle altre, avrei cercato di capire chi sei davvero.
Ma sai cosa?
Io ti vedo!
Ci penso e dico che, sì, ti vedo, ed è estremamente liberatorio ed è quello che mi fa pensare che in qualsiasi modo andrà a finire, se un giorno non ci sarai più nella mia vita (non posso perderti, non ti ho mai avuto davvero), non sarà poi andata così male.
Ti ho visto e ho anticipato le tue risposte, le incazzature, ho capito prima degli altri da che parte saresti andato.
E se solo tu potessi vederti come ti vedo io, forse, non saremmo a questo punto e, forse, tu avresti un motivo per rischiarti la vita e per non fartela passare addosso come ti vedo fare.
Sei sempre preso da cose più importanti, più urgenti, più, più, più.
Chissà se esiste un momento in cui prima dei più vieni tu e vengono le persone che ami (esisteranno le persone che ami? sì, secondo me sì e sono le stesse di cui parli mentre ti fai brillare gli occhi).
Ti guardavo, l'altro giorno, eri a qualche metro ma saresti potuto essere anche a chilometri e non sarebbe cambiato molto. 
Ti guardavo e mi sentivo felice nonostante tutto. 
Perché ci sei stato e io sono stata diversa e ho scoperto di potere tutto e ho scoperto che non sono troppo mediocre o troppo poco. 
Ti guardavo e pensavo: io ti vedo! C'è molta gente che può dire lo stesso? 
Sono presuntuosa? Sì, può darsi ma stavolta voglio esserlo.
Mi fai scrivere cose che non avrò mai il coraggio di dirti o di spedirti, mi fai pensare di essere speciale un giorno e di non valere nulla il giorno dopo però, però, però ho avuto la fortuna di vederti, conoscerti. Ti pare poco?
A me no e mi basta così.


venerdì 4 aprile 2014

Rimmel


Se piangi che hai ancora il rimmel, ti bruciano gli occhi.
Sarà per questo che ci si strucca prima di andare a dormire.
Però, ieri sera non mi andava di struccarmi.
E neanche di parlare.

Avrei avuto bisogno di favole che iniziano con "c'era una volta" e finiscono "e vissero felici e contenti".
E una mano che mi accarezzava e mi diceva: non ti preoccupare, andrà bene e andrà meglio.
E nel frattempo singhiozzare ritmicamente senza sentirsi così stupida a farlo, senza sentirsi inadeguata e stronza.

E nessuno chieda il perché che tanto non lo so neanche io davvero. E nessuno che cerchi di capirmi come se fossi un oggetto di studio un po' strano, va così e poi passa.
E sono felice e poi no. E piango e poi rido.

E oggi piango.



giovedì 3 aprile 2014

La mia rivoluzione


Io lo so perché ho paura.
Lo so perché è sempre stata qui, la paura, al centro dello stomaco.
Era lì quando dovevo scrivere la data sul quaderno, in alto, e dovevo imitare le due g di Oggi come le faceva la maestra.
E io, non lo so, ma a me sembravano due disegni strani quelle due g, così attaccate, così armoniose. Inseparabili.
E la paura era lì quando mi hanno messo le punte ai piedi per la prima volta e dovevo ballare l'assolo de La Bella addormentata e io pensavo: non sono capace, cado, mi faccio male, non sono brava, non sono brava.
E la paura era lì quando qualcuno guardava me e io pensavo: di sicuro gli piace la mia amica.
Era lì quando non ero abbastanza magra, brava, bella, intelligente, simpatica.
Era lì ed è ancora qui.
Che essere la prima non era il sogno di nessuno, ma forse sì.
"Che la principessa è brava, la principessa è furba, la principessa non piange mai che è forte lei".
Mi piaceva che gli altri, che lui, vedesse soprattutto questo di me.
La forza, il coraggio, l'essere sempre autonoma, il non fermarsi davanti a niente e nessuno.
Lui aveva questa faccia orgogliosa quando gli dicevano che la "principessa" ha preso un bel voto, è così brillante lei, è stata così brava al saggio.
E lui diceva che, per forza, "è come me".
Però, la paura di sbagliare è sempre lì e più cresco e più inciampo.
A cadere quasi ci prendo gusto e lui molte volte ha smesso di guardarmi orgoglioso, tante mi ha detto che era deluso.
"Proprio tu..".
Proprio io decidevo di mollare tutto, anche la vita perfetta che mi ero costruita.
Proprio io mi prendevo quell'autonomia tanto sputtanata.
Proprio io che oggi mi sento una rivoluzionaria (o una rivoluzionata).

E c'è qualcuno che dice che non ha senso questa paura: t'hanno messo in testa che non sei capace.
No.
Molto di più.
Sono io che mi sono messa in testa di non essere abbastanza per la gente che ho intorno (anche quando brava lo sono stata davvero).
Ma questa è la mia rivoluzione.
Questo posto lo è, Roma più di tutti, anche scattare foto diventa una rivoluzione.

E, ora, chiedimi se sono felice perché ora ti direi che sì, sono felice.
E domani, lo so, mi passa.
Tornerò a non essere abbastanza. Ma oggi sono la rivoluzione.
La mia, prima di tutto.


"Perché so che quando il mondo sarà pronto a grandi cambiamenti, tu ne sarai parte.
Oggi sei già la mia rivoluzione."

lunedì 31 marzo 2014

Diritti imprescrittibili del lettore


Ci sono i culture days a Roma.
Alcune librerie fanno il 15% su tutti i libri. Anche quella sotto casa mia che è sempre vuota e invece, in questi giorni, è piena di gente.
L'altro giorno, seguivo con l'indice i profili dei titoli sulle copertine, quelli in rilievo, quelli un po' lucidi. L'indice, alla fine, era pieno di polvere. 
La gente mi faceva spostare da una parte all'altra: signorina, mi fa passare? Scusi? 
Ho preso libri a caso, ne ho contati 4 che vorrei, altri che forse un giorno. 
La finissi di comprare libri sarei ricca e piena di vestiti e forse anche più bella: Due libri/una ceretta, un libro/ una maglia da H&M, tre libri/ un vestito da Zara.
Niente: compro libri, mi faccio un sacco di problemi, penso a tutte le cose che vorrei dire e che invece poi non dico.
Chissà come sarei se i miei genitori non m'avessero insegnato l'amore per le parole, chissà se invece di libri m'avessero comprato Barbie gira la moda.
Ho conosciuto una bambina che da grande vuole fare la stilista e odia leggere, però le piace che legga io. Dice che sono brava. Secondo me, è tutta una tattica per non leggere i libri da sola.
Ho sentito il padre dirle che leggere sarà pure noioso ma, alla fine, sai che soddisfazione? 
Mentre glielo diceva, lui, era davanti la tv e accanto aveva il pc. 
Non so, non mi sembra il modo migliore per far venire voglia di leggere a un bambino. 
Se mai avrò dei figli, vorrei scrivere, con dei pennelli, gli imprescrittibili diritti del lettore su un muro della loro stanza.
1. Diritto a non leggere
Glielo colore di verde o di blu.
2. Il diritto di saltare le pagine.
I diritti del lettore io li ho scoperti che ero grande, quando già avevo imparato ad avere i sensi di colpa se saltavo le pagine o se non finivo un libro e tutt'ora non riesco a farlo perché penso che non è giusto essere così superficiali. 
Invece, il mio professore d'italiano del liceo mi diceva che era un mio diritto e a me sembrava grandioso. Potevo leggere a caso e nessuno avrebbe detto niente. Nessun Dante o Foscolo si sarebbe rivoltato nella tomba, neanche Goethe poteva lamentarsi se sbadigliavo mentre leggevo il suo giovane Werther e Flaubert m'avrebbe capita se provavo un odio smisurato verso Madame Bovary.
3. Il diritto di non finire il libro. 
Potevo leggere Moccia o Sciascia, Pirandello o Murakami. Potevo per un giorno immaginarmi con Naoko in un centro di cura in Giappone e il giorno dopo a Roma con Diego e Antonia a bere vino rosso e mangiare gelato al pistacchio. 
Ecco: alla bambina, che vuole fare la stilista, volevo spiegare questa cosa delle possibilità. Degli orizzonti che vedi attraverso un libro. 
Ma una cosa così, non la puoi spiegare senza cadere nel banale. 
Come si spiega il senso di pace che senti dentro una libreria, meglio se piccola. La gioia nel parlare con il libraio, di lui che ha ereditato la libreria dal padre che l'aveva ereditata dal padre. I libri in alto, quelli pieni di polvere, quelli che non si possono toccare, quelli che odorano di vita di gente che non conosci. 
I libri che raccontano la tua storia anche se tu non l'hai mai detta a nessuno, quelli che non sopporti e vorresti lanciare per aria, quelli che hanno la copertina colorata, quelli che hanno un bel titolo, quelli che ti fanno piangere, quelli che magari li avessi scritti tu.
4. Il diritto di rileggere.
5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
6. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa).
Da bambina, appena finita la scuola, mi facevo portare in libreria. Sceglievo le mie letture per i mesi di noia che sarebbero venuti. A 12 anni ho letto "Il gattopardo" a 13 ho iniziato "I promessi sposi", in mezzo ci mettevo le letture da ragazzina. Ci mettevo il libro cuore, piccole donne, va dove ti porta il cuore, Anna Karenina. 
Leggevo Fabio Volo e poi iniziavo "La sonata a Kreutzer".
E Baricco, Erri De Luca, Stefano Benni, Giulia Carcasi, Kerouac, Terzani, Tabucchi, Bronte, Camilleri.
Le mie letture non hanno mai avuto una logica. 
Non li sopporto quelli che decidono a priori cosa è degno e cosa no. 
Ho letto le 50 sfumature e le ho odiate, talmente le ho trovate banali. Ho letto la saga di Twilight e alla fine mi è anche piaciuta. Ho letto tutto Harry Potter e penso che una cosa del genere, così potente, così ben fatta, è davvero straordinaria.
7. Il diritto di leggere ovunque.
8. Il diritto di spizzicare.
E tutti questi pensieri mi sono venuti mentre con l'indice scorrevo i titoli dei libri della libreria sotto casa, sezione novità.
E pensavo a quanto altro vorrei leggere, quanto altro vorrei dire. 
9. Il diritto di leggere ad alta voce.
10. Il diritto di tacere.

Questi 10 imprescrittibili diritti erano nella parete destra della mia classe del liceo, vicino a una mia compagna di classe che aveva sempre un maglioncino azzurro. 
Li avevamo scritti per ricordarci che leggere, alla fine, è un piacere ed è scoperta, amore, curiosità. 
E mi ricordo che il professore d'italiano ogni tanto ci dava dei titoli e alcuni sbuffavano, che chepalle un altro libro da leggere, e io, invece, ero contenta.
Che poi era bello tornare in classe e dire: bah, secondo me 'sta Metamorfosi è una cagata pazzesca. 
O, che ne so, innamorarsi di Teresa attraverso le parole di Jacopo, anche se per lui erano le ultime.
Io non lo so quando ho capito che nella vita mi piaceva scrivere, probabilmente proprio in quegli anni. 
Io non lo so se nella vita sarò mai capace di scrivere davvero.
Però so cosa mi fa ancora emozionare ed essere così serena.

E niente, se siete a Roma, in questi giorni, un occhio ad una libreria io lo darei.
Che il 15% non sarà chissà cosa, ma almeno è una scusa.

(Questo post non è stato sponsorizzato da nessuno.
Neanche dal comune di Roma.
Purtroppo!)

p.s. I diritti del lettore, secondo me, valgono anche per i blog.

lunedì 24 marzo 2014

Vieni a vivere come me


"Vieni a vivere come me.
Vieni a vivere come me.
Com'è che non ti muovi? 
Com'è possibile?"

Ieri ho fatto le pulizie che era quasi l'una (di notte).
Ho cenato con la carrot cake.
Ho bevuto latte di soia. 
Ho guardato un programma ma su rivideo. Ho pianto.
Ho visto l'ultima di Grey's anatomy, sottotitolata in italiano.
Mi sono addormentata, in mutande, alle 2.

Allora, ho pensato che sarei una pessima compagna io.
Perché non cucinerei se non ho voglia e ci sarebbe sempre il cesto dei panni sporchi pieno.
Sarei una pessima madre perché non ci sarebbero verdure e per cena permetterei anche il dolce pieno di Nutella.
E la mattina non parlo.
Non ho voglia di scegliere tra la vita che sogno e quella che dovrebbe essere quella di una donnina perfetta da sposare.
Che poi, volete davvero la perfezione? Una moglie che ha il pollo in forno e la casa che splende, il colore appena fatto, il rossetto rosso?
A me la perfezione spaventa. Sono certa che prima o poi si rompe e nelle crepe ci entra lo sporco e una perfetta le crepe e lo sporco non lo reggerebbe mai.
Io, sono così: imperfetta. Piena di crepe.
E di ansie, di paure. Ho bisogno di qualcuno che mi dia certezze ma che mi lasci spazio.
Voglio addormentarmi tardi, fare il bucato di notte, sedermi per strada, ridere se mi va.
Vorrei innamorarmi di qualcuno che mette il materasso per terra e mi dice che "al mal di schiena ci pensiamo nell'aldilà", che mangeremo scatolette, che i piatti se non mi va di farli subito magari li facciamo domani insieme.
Sarei una pessima compagna ma mi piacerebbe ascoltare tante storie e non sbufferei mai, non mi stancherei di sentire le tue stanchezze, di guardarti sognare, d'incoraggiarti a osare.
E anche i miei figli, se mai ce ne saranno, saranno liberi di andare, di sbagliare, di cadere.
Mangeranno schifezze e ci sarà qualche nonna che storcerà il naso, studieranno storia se vorranno o filosofia. Scriveranno su pezzi di carta trovati per casa, come me.
Balleranno per casa, se va a loro.
Sto sognando una vita semplice, una di quelle che puoi finire quando vuoi.
Che se un giorno ti stanchi di me, puoi tornare sui tuoi passi salutandomi con tenerezza, aprendo la porta di casa e dicendo ciao ma non come fosse un addio ma solo un "sono felice di aver passato un po' di vita con te, ma adesso basta".
Non so se una vita così mi piacerà per sempre o se un giorno sognerò "la villa, due figli, un cane, la settimana bianca e il mese a mare". Non lo so.
Per ora, ho sogni piccoli come me.
Come un bicchiere di vino rosso da bere davanti un camino, un libro, due chiacchiere, un abbraccio, un po' di magia.
Un amore che non è un obbligo ma una scelta, un domani costruito ogni giorno perché si vuole in due. 


martedì 18 marzo 2014

140 caratteri. Più o meno.

Questo è un post senza un filo logico.
Come se fossi su twitter e stessi scrivendo in 140 caratteri ma con qualche carattere in più.

- Chi l'ha detto che gli italiani sono i più chiassosi? Avete mai viaggiato con una famiglia (madre, padre, due figlie) di americani? Il risultato è tutto un: passami le patatine, prendi la mappa di tutta Italia e srotolala sul tavolinetto del treno, facciamoci un selfie, beviamo tutte le bevande che la macchinetta ci offre, alziamoci a prendere cose dalla valigia. Facciamo sapere al mondo, almeno a quello che ci capisce, tutti i nostri spostamenti. Mai un minuto in silenzio, mai un secondo a farsi ognuno i cazzi suoi. No. Si condivide tutto. "Uuuuh guarda, Britt ha pubblicato la foto della figlia. Guarda quant'è carina. Qui di sicuro aveva appena finito di fare la cacca". What?

- La probabilità che su Italo il wifi funzioni è alta tanto quanto quella di trovare la scritta "hai vinto" dentro una confezione di Kinder Bueno. E due ore a smadonnare perché non riesco a entrare nell'email e neanche su whatsapp mi sembra una cattiveria. Italo, prendi nota.

- L'anno scorso a Marzo nevicava. Ad Aprile avevo ancora il cappotto. A Maggio avevamo iniziato timidamente a usare il giubbino in pelle.
Spiegatemi perché, quest'anno, a marzo è arrivata già l'estate. Non sono pronta per duemila motivi che riassumiamo agevolmente in: non ho un cazzo da mettere, il mio armadio è vuoto, devo ancora perdere quei 5/6 kg prima di tornare a indossare maglie a maniche corte (e qui nessuno sta pensando al costume).
Mi oppongo. Datemi almeno il tempo di fare un po' di soldi e andare a comprare un po' di roba di cotone.

- Il tempo: chi lo ruba? Chi se lo prende? Perché, com'è possibile che un secondo prima sono le 22 e il secondo dopo sono già le 3,30?

- Torneranno giorni felici?
Smetterò di pensare che è tutto infinitamente sbagliato?
Sì?

lunedì 3 marzo 2014

Nudità


Mi spoglio per un attimo dei pensieri.
Mi spoglio completamente.
Ho i piedi che sembrano due ghiaccioli e le mani fredde, ma per me non funziona mai quella cosa di "mani fredde, cuore caldo".
M'immagino un "tu" immaginario.
Uno che si chieda perché mi ostino a non usare un pigiama visto che ho la pelle d'oca un poco ovunque.
E, questo "tu", aspetta che lo raggiunga sotto le coperte anche se vorrò riscaldarmi i piedi tra le sue gambe, anche se metterò le mie mani sulla sua schiena. Un "tu" che prenderà un po' del mio freddo per farlo diventare suo.
Dormo nuda. Riesco ad addormentarmi che fuori è già giorno. Manca poco e suonerà la sveglia.
Ma "tu", quello che sto immaginando che m'accarezza i capelli, neanche ci sei. Forse, neanche esisti.
Cullami un attimo e ferma sto cuore che batte più forte che mai.
Però, se esisti, fammi un cenno così capisco che non sto aspettando invano e io continuo ad aspettarti. Buona, in silenzio, come diceva sempre la maestra: se state buoni, in silenzio, il più buono ha una sorpresa.
Facciamo che la sorpresa, se sto buona e in silenzio, sei "tu".
E dimmi che un giorno arriverai e mi sveglierai con un bacio sulla fronte e poi magari io ti dirò di restare un po' abbracciati, che non ho voglia di andare da nessuna parte e invece tu devi proprio scappare a lavoro.
Ti chiederò, sorridendo, di fare l'amore e tu mi dirai non mi tentare.
Ancora un po', ancora un altro poco.
Allora, sarò in ritardo anche io e dovrò dire che la metro era bloccata, oppure qualcosa m'inventerò.
E poi, la sera tornerò da te e a quel punto chiamerò casa un posto soltanto e casa, probabilmente, sarai tu.
E litigheremo tanto e mi dirai che sono difficile e io sbufferò.
E avrai i capelli, bè, non so.. come li avrai i capelli?
Questo letto è troppo grande senza di te, uomo immaginario che vive nella mia mente e che mi tiene per mano quando faccio i brutti sogni.
Roma, invece, è troppo piccola perché ti vedo ovunque e invece non ci sei da nessuna parte.
Allora, penso a come potrebbe essere il nostro incontro.
Come oggi ai Fori Imperiali che c'erano le bambine vestite da principessa e i bambini vestiti da poliziotti.
Allora, ti cercavo tra la folla e avrei voluto trovarti a guardare il cielo, che era azzurro e senza nuvole, per chiederti se anche tu pensi che sia bellissimo.
Con il culo che ho, invece, se t'incontro sei con la tua fidanzata storica e le stai tenendo la borsa mentre lei guarda il cielo. O, ancora peggio, stai spingendo un passeggino.
Con il culo che ho, invece, "tu" forse già esisti e io so chi sei ma so che non mi vuoi anche se mi scrivi cose bellissime che ho imparato a memoria mentre, in questo letto enorme, tento di addormentarmi.
Con il culo che ho, le cose bellissime che hai scritto a me, le hai scritte anche a qualcun'altra (e che magari è anche la tua fidanzata).
Allora, una mia amica mi ha detto che non devo imparare a memoria le cose che mi scrivi ma devo cercare di ricordare che non sei mio.
Solo che "non sei mio, non sei mio, non sei mio" non suona bene come ninna nanna.
E lei dice che un giorno arriverà qualcuno che quelle cose le scriverà a me e mi vorrà come io voglio te.
Non le credo.
Mi sono talmente abituata a smezzare la felicità che "tu", se esisti, di sicuro sei già di un'altra.

sabato 22 febbraio 2014

Nausea

Quando da piccola pensavo di avere troppe cose dentro, allora, mi mettevo con la testa dentro un cesso e vomitavo. 
Era l'unico modo per fare uscire tutto: le gioie, la rabbia, le delusioni, l'amore. 
Ho sempre pensato che era il troppo amore, a cui non volevo piegarmi, che non volevo dentro. 
Alzavo la tavoletta e giù a vomitare.

Quando da piccola vomitavo, poi piangevo. 
Era tutto così strano, così liberatorio, così una merda che ancora adesso mi sembra di sentirla addosso. 
C'erano periodi che contavo le calorie prima di mangiare, che bevevo un solo bicchiere d'acqua, che masticavo una gomma per tutto il giorno e più lo facevo e più mi disgustavo. 
Ci sono stati giorni in cui ho mangiato tutto quello che avevo a tiro, senza sentirne il sapore, senza capire se fosse dolce o salato, masticando velocemente come se io quel cibo più che gustarlo lo volessi annientare. Poi, piangevo. Poi, vomitavo il mondo. 
È durata degli anni così. Tra alti e bassi. 

Nel duemilacinque, mi pare, uscivo con quello con gli occhi azzurri. Mi piaceva. Mi piaceva in un modo un po' particolare. Perché alle mie compagne di classe, alle altre della scuola, lui piaceva perché era un "figo". A me piaceva perché ridevamo sempre, perché aveva degli occhi azzurri che dentro ci annegavi, perché mi diceva "sei una nana" e io rispondevo "sei un cretino" e lui mi diceva "e tu sei bellissima". 
Non è mai stato il mio fidanzato. Lo era delle altre ma mai il mio. Io c'ero e restavo li, silenziosa, ad aspettare che capisse che le altre lo vedevano solo bello e io, invece, lo vedevo tutto. 
Ci trovavamo la notte, sempre nei posti più strani. Lui mi baciava, io lo scansavo e alla fine cedevo. 
Tornavo a casa e vomitavo. 
Vomitavo i suoi baci, vomitavo i miei no che diventavano sì, vomitavo l'amore che avrei voluto dare a lui ma che lui non si prendeva. Pensavo che era così che andava l'amore. Penso che sia così che va l'amore.
Sul diario, nella pagina dell'otto febbraio duemilacinque, c'è una frase: quod me nutrit me destruit.
Ci credevo davvero. 
Quell'anno rifiutavo il cibo, i pantaloni taglia 38 mi cadevano, ero gialla e sempre incazzata. 
Ma io quell'otto febbraio me lo ricordo perché è venuta Lei e mi ha detto che il gioco non le piaceva, che se cadevamo, allora sarebbe stato insieme. 
Ci siamo smezzate un quadratino di cioccolato, 125 kcal, un the alla pesca, 62 kcal. 
E ci siamo tenute per mano che nessuno doveva andare in bagno e vomitare odio. 
Lei diceva che quello con gli occhi azzurri era un cretino. Che ne sa quanto sei speciale, che ne sa di quello che si perde. 
Qualcuno a rileggere direbbe che sono disturbi alimentari. Io boh, non ci giurerei.
Mi sono sempre fermata un passo prima, perché avevo una famiglia incazzata quanto me, una madre che controllava quante volte entravo al cesso, un'amica che mi teneva per mano. 
Sono svenuta varie volte e tutte quante mi sono ritrovata per terra con dello zucchero sotto la lingua. 
È tutto a posto, dicevo: ne sto uscendo, adesso rido, adesso mangio, non vomito più, sto ingrassando.
E la gente smetteva di fissarmi. 
Avevano paura delle parole, di dirmi sì sei più grassa, sì sei più magra, sai che stai bene?, secondo me dovresti fare un po' di attività. 
Non mi guardavano, non mi parlavano, non sorridevano ai miei deliri ma neanche s'incazzavano. Era più facile fingere di non vedere piuttosto che guardare bene in faccia la realtà. 
Schivavano le domande, i miei sguardi, i miei dubbi. 
Che sia mai che la bambola pensi che è ingrassata e torna con la faccia dentro al cesso e noi neanche ce ne accorgiamo. 
Invece, avrei voluto risposte, avrei voluto gente che mi trattasse male, che mi dicesse che ero una cretina perché io mi sentivo una stupida.
Dicevo: hei io sono una guerriera, non mi fanno paura le parole, mi fanno paura i sentimenti. 
Per anni è andata così anche quando ho avuto tutto. Cumulavo cibo e rabbia e amore e passioni e sogni da tenere in silenzio e paure. 
Le ho tenute sempre per me e con me. 
Ci sono cose come queste che non si possono e vogliono condividere con nessuno.
E anche adesso tremo un po' al pensiero che le leggerete.

Oggi, ho mangiato cioccolato, mozzarella, nutella, una piadina, cioccolato. 
Senza un ordine, una logica, una voglia.
Riempio un vuoto che un secondo dopo voglio svuotare.
Voglio vomitare come quando avevo 15 anni o 17 e, invece, adesso ne ho 23 e dovrei essere "grande".

Ok, è così che vanno le cose. 
L'amore è per le altre, quelle che non fanno troppe domande.
A me resta il senso di nausea come quando sei con lui che sta dormendo e sai che appena si sveglia, dovete scendere e tornare alla vita reale.
Quella dove tu non esisti.

Quella dove tu non esisti.
Vomito.



giovedì 20 febbraio 2014

Numeri


Dentro al carrello della spesa ci sono solo un po' di pasta, qualche scatola di tonno, dei succhi di frutta di quelli che si danno ai bambini e poco altro.
Lui ha i capelli bianchi e una giacca che lo fa sembrare davvero elegante. Un borsello poggiato sul carrello, un cellulare nelle mani. 
Davanti alle casse, continua a ripetere che non ricorda il numero.
Il numero di cosa?
Non me lo ricordo.
Ma del cellulare o della carta per pagare?
Non lo so. Non me lo ricordo. Non ricordo il numero.
Ma di cosa?
Non lo so.
Vorrei dargli una mano, dirgli si appoggi a me, non si preoccupi. Arriveranno i numeri, non abbia paura, c'è tempo, c'è tempo.
Riguardo il carrello, anche se non si fa perché è un intromissione nella sua vita e già mi sono spinta abbastanza oltre. Mi fisso sui succhi di frutta. Magari sono per i nipotini che lo vanno a trovare. 
Mia nonna li comprava quando eravamo piccoli. Io li compro anche oggi che sono grande e li tengo nello sportello basso, accanto alle crostatine alla nutella, ai plum cake e ai ritter sport in 4 gusti diversi.
Nel frattempo, è arrivato il mio turno alla cassa e lui è ancora dietro che non ricorda. 
Non è vero che c'è tempo, non ne abbiamo mai abbastanza. Il mio è arrivato e dovrò uscire dal supermercato e dovrò correre a prendere l'unico autobus che mi porta a casa oppure dovrò andare a piedi.
E non posso abbracciarlo, chi sono io per farlo?
Potrebbe essere mio nonno, quest'uomo in giacca a quadretti al supermercato e con un po' di pasta e di tonno dentro al carrello, potrebbe essere il padre di qualcuno che in questo momento è troppo impegnato chissà dove, potrebbe essere il marito di una donna che lo sta aspettando a casa per prepararla questa pasta e tonno.

Fuori, il cielo è grigio e su via Tiburtina non c'è nessuno che si ferma. 
Neanche i due ragazzi che si baciano davanti la fermata, neanche la signora con la busta intimissimi. Nessuno sa che dentro il supermercato c'è un uomo, in giacca a quadri, che ha perso dei numeri.

Non si sa che numeri, ma sembra che dovevano essere importanti.

lunedì 17 febbraio 2014

Tu chi sei?


Mi affaccio dalla finestra.
Penso all'anno scorso, all'ansia che avevo addosso mentre guardavo quel panorama che ti toglieva l'aria.
Penso che mi guardavi e mi stringevi un fianco.
Ero troppo impegnata ad avere paura, per accorgermi che poteva anche andare bene così.
Guardo dalla finestra.
Ti sento ridere.
Non la sopporto quella risata.
Guardo dalla finestra, c'era il sole fino a qualche minuto fa e poi sono arrivate le nuvole.
C'è un gabbiano, ci sono i tetti delle case, c'è un terrazzo bellissimo con l'edera.
Ci sono io che mi tocco i capelli mentre entri tu nella stanza.
Saluti frettolosamente, rispondo con un ciao. Fine.

Eppure, quello lì non è quello che ho conosciuto io.
Oppure è la me di ora che non è quella che hai conosciuto tu.
Eppure, mi servirebbe una ragione sola per capire dove ho sbagliato, se ho sbagliato.

Ho bisogno di qualcuno a cui dire che il libro fa schifo, che il film invece mi ha fatto piangere un sacco, che Roma di sera è un sogno.
Ho bisogno di avere la certezza che se non ci sei non è per qualcosa che ho fatto io.
Ho bisogno di sapere che non ho rovinato tutto io, come sempre.

Ogni tanto ti leggo. Prima era sempre, ora ogni tanto così ho meno pensieri.
Hai scritto una frase, ho pensato: parla di "noi". Ha fatto male.

Fingo di non conoscerti abbastanza di fronte la gente, faccio spallucce quando qualcuno mi parla di te. Perché? Non lo so.
Hai la stessa delicatezza quando ti parlano di me oppure fai come fai con tutti e dici "che rompi coglioni questa" come se io non t'avessi chiesto scusa, per favore, ogni volta?
Ho cercato di stare sulle punte tutto il tempo quando entravo nella tua vita, neanche un errore, una sbavatura.
Ancora tengo i pensieri che mi hai regalato gelosamente custoditi da qualche parte nel mio corpo. Anche a scriverli qui, che nessuno li troverebbe mai, mi sembrerebbe di farti un torto.
Mi spieghi perché io ti voglio ancora così bene, di un bene senza senso, e tu non riesci neanche a parlarmi?

Lo sai che mi manca, più di tutto?
Tu che m'abbracci. Come a fine Maggio, quando appena arrivata mi hai abbracciata stretta e mi hai detto che eri felice di vedermi.
Ecco, mi manca lui non tu.
Tu chi sei? Lui dov'è?



 "Qual è il grado di dolore che riesci a sopportare prima di fermare l'esecuzione e chiedere soccorso a me, che non ti do un motivo ancora per restare..
Cerca un modo per difenderti, una ragione per pensare a te.
(Lasciarsi un giorno a Roma - Niccolò Fabi)"

lunedì 27 gennaio 2014

Szia ti dico che è cossì


Qualche mese fa, seduta per terra su un tappetone colorato, cercavo di insegnare a mia nipote, di due anni, come si fanno i puzzle.
Noi “grandi”, quando ci sono i bambini, tendiamo sempre a voler insegnare qualcosa, qualsiasi cosa.
Sarà che abbiamo come la sensazione di tenerli per mano durante le loro prima volte, che siano le prime chiacchierate a telefono, il ciao con la manina, bere una cocacola con la cannuccia, mangiare la nutella direttamente dal barattolo, dire bye bye quando esci da una stanza o “good Morning” quando ti svegli.
Tenerli per mano quando iniziano a camminare e poi a correre. Vederli crescere e pensare che un pezzetto, piccolo, minuscolo, insignificante ce l’hai messo anche tu.
Le cose elencate sopra, per esempio, io le ho insegnato a lei.
E ho cercato di insegnarle a non piangere quando la mamma non c’è, tanto c’è la zia, addormentarsi dopo una favola inventata sul momento mentre io trattengo a mala pena le risate per quanto è scema e lei, invece, è tutta interessata, mettersi a letto e cantare “solo per te” dei Negramaro, dire “one day baby, we’ll be old” o ballare sulle note di Blurred lines con tutte le mossette.
Anche quella sera, cercavo di insegnarle il poco che so.
Prendevo i pezzetti del puzzle e li incastravo. 
Dicevo, si fa così amore. 
Lei mi guardava perplessa. 
Lei che ha imparato a dire il mio nome prima di papà. Ha imparato un sacco di altre cose prima di dire papà, se proprio devo dirla tutta.
E il mio nome lo diceva in un modo un po’ strano e poi ci usava i vezzeggiativi. Avevo sempre un nome che finiva in “uzza”, “ina” e “uccia”.
Come il suo nome che pronunciava con la S dolce che sembrava una nordica in vacanza al sud.
Come i modenesi quando dicono “pizza” ed esce “pissa” ed è dolce. Uguale.
Quella sera, che ha la S dolce, mi guardava strana.
Prendeva i pezzi del puzzle e mi diceva “no szia, si fa cossì”.
Il maiale finiva con il corpo di una mucca, la gallina si attaccava al laghetto, la fattoria non aveva il tetto però aveva un gran cielo azzurro con il sole e le nuvole mischiate.
“No, tesoro. Vedi che non è uguale alla foto?”
“Szia ti dico che è cossì”.
Irremovibile lei.
Talmente tanto convinta che a un certo punto ho smesso di insistere. Sembrava più bello fare i puzzle senza un senso, con la mucca che ha la testa di un maiale e la casa senza un tetto.
E quella sera non le ho insegnato praticamente nulla ma lei mi ha insegnato che le cose non sono sempre così ovvie, così scontate. 
Che due pezzi, magari, sembrano perfetti per stare insieme ma non è il momento per farli combaciare e probabilmente, per ora, è meglio una casa senza un tetto ma pieno di azzurro di cielo.
E questa cosa, sicuramente, avrà senso solo per me perché me l’ha insegnato lei e voi che non la conoscete non potete capire.
Però, mi sembrava bella da scrivere per non dimenticarla.
Soprattutto nei pomeriggi che fuori piove e mi pare che manchi un pezzo.
“Szia ti dico che è cossì”, mi ripeto.
E le cose vanno meglio.

lunedì 20 gennaio 2014

"Maria, io lascio il programma"


E’ tutto il giorno che scrivo e mi sembra che non sia mai abbastanza.
Lavo per terra, scrivo una cosa, salvo, cucino, ricomincio a scrivere, salva file con nome, chiudo pages, inizio a leggere, guardo una puntata di Gossip Girl (di nuovo, per la milionesima volta), riapro pages.
Sarà che ho passato 24 ore da sola ed è stato bellissimo.
Mi viene voglia di cantare, cucinare, scrivere, fare il bucato. Cose di cui, onestamente, farei a meno nella vita di tutti i giorni.
Non uso facebook da un po’, lo trovo deprimente e triste. La fiera dell’ovvio.
Ogni volta che vorrei pubblicare qualcosa, penso sempre che non ne vale la pena e richiudo tutto.
L’ultima volta che ci ho scritto, e mentre lo facevo ridevo da pazzi, qualcuno si è un po’ risentito, qualcun altro invece ha iniziato a ripetere quello che avevo scritto quando mi ha incontrato per strada. Che anche che palle. 
Usare cinismo e sarcasmo su Facebook è come andare con delle Laboutine vere a un matrimonio organizzato dal Boss delle Cerimonie (sì, il programma che stanno facendo ultimamente su Real Time).
Ecco perché non potrei mai firmarmi su questo blog.
Oltre tutto, su questo blog, ci ho buttato anche un sacco di paranoie e tristezze.
Oh gente, io non sono così. Non sempre, almeno.
Sono anche un po’ scema, un po’ bionda dentro.
Mi nutro di cibo spazzatura e ogni tanto anche di tv e musica trash.
Non è un vanto, attenzione. Anche perché passare da musica alternativa tipo Brunori e Colapesce per poi finire in doccia a cantare “case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale che anche se non valgo niente per lo meno a te, ti permetto di sooognare”, è quasi da border line all’ultimo stadio.
Solo che io mi prendo poco sul serio.
Mi piace parlare di Maria De Filippi e poi parlare seriamente di politica italiana ed estera.
Ho delle opinioni su Renzi, sulle staminali, sulla crisi, su Barack Obama ma guardo anche Master chef e odio Rachida.
Adoro parlare di calcio, di tifo, di calcio mercato, della juve che ruba le partite, dell’inter che è una merda perché, insomma, sticazzi chi vince, il bello è vedere il tifoso diventare nervoso di fronte le tue tesi assurde che per un secondo sembra che sei la massima esperta di calcio e poi resti perplessa di fronte un calcio d’angolo perché, ovviamente, non sai che cazzo è.
Dico un sacco di parolacce, guardo poca televisione perché odio la pubblicità e le fiction italiane. 
Sono cresciuta a pane e serie tv americane che Dawson’s creek e Gilmore girls ve li potrei doppiare senza alcun tipo di problema e, soprattutto, senza copione.
E ho visto tutte le puntate di Costantino e Alessandra a Uomini & Donne. 
Alessandra con quei copri spalla improponibili, i capelli lisci, lisci, gli occhi a palla. Le liti, “Maria, io, io ti saluto” e il finale con grandi pianti con Costantino che dice “non c’è un motivo per cui io oggi ti scelgo. Ti scelgo così perché è giusto che finisce così”.
E loro a Fregene che corrono, in sottofondo Venditti, i fuochi d’artificio sul mare, lei che dice “e quindi” e lui che risponde “e quindi, ti amo” come se ci fosse una logica.
Che ok, sono una persona impegnata, riservata, guardo i bei film, leggo un sacco e di tutto ma mi volete spiegare come fate a piangere, singhiozzando, se non guardate cose così? O se non ascoltate in loop tutta la discografia di Tiziano che la paranoia ce la tira a pacchi?
A me quando mi prende il momento trash, vuol dire che sono in palla sul serio e che qualcosa sta funzionando male.
Tipo ora che ho iniziato ad ascoltare “The voice within” dell’Aguilera e che ho la risatina nervosa di una che sta per esaurire.
Oggi, uno dal nulla, mi ha scritto che viene a Roma a metà febbraio e io volevo rispondergli “auguri” ma mi sembrava poco educato.
Mica l’ho capito perché mi cerca solo la gente che non m’interesserà mai.
Non so se s’è capito che sto scrivendo senza avere nulla da dire.
Mi sa di sì.
Solo che devo studiare e sto perdendo tempo di proposito perché mi scoccia farlo.
E quindi, niente, volevo raccontarvi anche questa parte un po’ idiota di me che avevo paura che m’immaginaste vestita h&m, con le cuffie grandi in metro, gli occhiali da nerd (no, questi li ho davvero) e il parka verde militare mentre leggo Bukowski.
Sono più normale, più sfigata, più niente di che di quanto voi possiate immaginare.
Ho anche qualche kg in più da un paio d’anni.
Però, questo blog, quando l’ho aperto quel lontano 2012, io non pensavo che sarebbe arrivato ad oggi e non pensavo che avrebbe “raccontato” tutte queste cose.
E forse, è una forma di esibizionismo quella di raccontarsi attraverso internet (il mio esibizionismo, però, è piuttosto strano considerato che tengo nascosto questo coso come Frodo con l’anello) però mi piace.
E mi piace leggere di alcuni di voi, immaginarvi di che colore avete i capelli, se quello che raccontate è tutto tutto vero, se siete delle persone simpatiche nella vita.
E mi piace scambiarmi le mail con la diciassettenne che mi scrive i trucchi per dormire ed è bella, bella e dolcissima.
Ecco, semplicemente, volevo ringraziarvi perché mi leggete e siete moltissimi, perché mi seguite anche se io riesco a seguire poche, pochissime, persone.
E perché io non me l’aspettavo che finiva così. 

domenica 19 gennaio 2014

Tu hai l'anima che io vorrei avere


C'è questa cosa che, ormai, qualsiasi cosa succeda, pensiamo: beh, poteva andare peggio. Intanto ci siamo e stiamo bene, ci possiamo parlare anche se solo a telefono o via sms o per email o su whatsapp però stiamo bene.
Non so se è riduttivo e se un po' sminuiamo la vita, ma c'è questa cosa che, ormai, ci diciamo che poteva andare peggio.
Non ce lo diciamo sempre, ma di sicuro lo pensiamo ogni secondo della nostra vita.
Almeno, io lo faccio.
Ho come la sensazione che certe cose non torneranno più, mai più come prima.
Ho la sensazione che non ci saranno più i messaggi che ci dicevamo ho bisogno, prendi tre birre e solito posto tra mezz'ora. Non ci saranno i pomeriggi sul tappetone a guardare tutti programmi spazzatura che sky ci offre.
Non sarò più la "bionda", principessa che sogna la Birkin e un viaggio lontano. Anche perché dicono che non sono proprio più la principessa bionda, che adesso sono più Zoeey Deschanel in 500 days of Summer (ma questa è un'altra storia). 
Ecco, mi pare che si è perso un pezzo del puzzle e che non lo so se riusciremo mai a ricomporlo e, in ogni caso, non mi ricordo più qual era l'immagine da comporre.
C'era un sole, un prato, una mucca, una gallina e un mulino?
C'era un laghetto? 
Chi può saperlo.
Se ci sono cose che mi mancano, potrei semplificarle in:
- la leggerezza di prendere in giro le femmine, quelle vere, che parlano di trucchi e smalti. Che abbinano gli ombretti e le borse. Noi non siamo mai state capaci e le nostre occhiaie hanno fatto un sacco di uscite in pubblico.
- le risate a parlare di fidanzati, ex, aspiranti fidanzati o presunti tali. Carrie e amiche a noi possono solo "spicciare casa" (come direbbero da questa parte di mondo in cui vivo).
- la sensazione di assoluta serenità, d'amore, tranquillità che solo con lei anche quando c'era il mondo che ci cascava addosso. 

Ecco, visto che il mondo ci è cascato addosso, pezzo per pezzo senza risparmiarci neanche un po', penso che adesso qualcosa si dovrà ricostruire.
E io penso che, insieme, come sempre è stato, anche solo un piccolo angolo di mondo riusciamo a rimetterlo in piedi.
E io, magari, torno a dormire, a fare sogni normali, a desiderare le cose che si desiderano a vent'anni (e qualcosina).

Intanto, bevo camomilla come fosse l'unico rimedio a tutto. Il prossimo passo è lo stilnox.

Questa l'avevo dedicata a lei da subito perché appena l'ho sentita, ho pensato che En&Xanax poteva essere solo nostra.
E oggi più che mai, sento che è nostra.


"Se non ti spaventerai con le mie paure, un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle. In due si può lottare come dei giganti  contro ogni dolore e su di me puoi contare per una rivoluzione.
Tu hai l'anima che io vorrei avere."

martedì 14 gennaio 2014

Un'isola


La bionda, di là, studia inglese e ride mentre l'altra le urla contro che c'è Gabriel Garko alla tv che secondo lei è l'uomo più bello del mondo e quindi diventa scema a guardare tutte le fiction che ci propina la tv (e dove lui, di solito, recita da vero cane).
Io domani ho un esame e neanche un po' d'ansia.
Non ho studiato molto ma oh, l'ansia non ce l'ho, che ci posso fare?
Tant'è che invece di ripassare mi è venuta una gran voglia di scrivere. Cosa? Non lo so.
Io domani al professore gli parlo di me che sul libro c'è scritto che la modernità ha rovinato tutto, siamo più soli e meno consapevoli, siamo travolti dalle cose e più estranei e poi c'è il sesso che livella tutto.
No, non credo ci sia scritto esattamente questo ma sono le poche cose che ricordo.
Io domani gli dico che non sono sola, che ho degli amici belli come pochi, che ho una famiglia e una casa.
Gli dico che al massimo mi isolo, quello sì.
Sono nata in un'isola e io sono un'isola. Mi faccio toccare dalla gente come il mare tocca la Sicilia, mi faccio modificare ma in minima parte che per cambiarmi ci vorrebbero gli anni che non vivrò mai. 
Gli dico che ho prenotato un treno e che spero di prenotarne tanti quest'anno. 
L'isola vuole spostarsi e vuole vedere.
Non che non mi basti Roma ma qui mi manca la gente da abbracciare e io dopo un po', anche se sono un'isola, ne sento un bisogno impellente.
Ma è perché sono qui da poco o perché sono già grande per crearmi rapporti importanti?
Sto pianificando un'intera settimana da passare da sola qui a casa, mentre la bionda e l'altra tornano a casa.
Mangerò schifezze e studierò e così per sette giorni. 
Sembra la vita di un'anziana signora e non quella di una studentessa appena trasferita in una grande città. Ma che ci posso fare se mi hanno fatto vecchia?
Da mesi non aspetto chiamate, messaggi, non apro email con il cuore alla gola. Non c'è nessuno a cui pensare, nessuno da desiderare quando sono sola in questo letto troppo grande.
Sono vecchia dentro mi sa.
Che ci posso fare se non ci trovo niente di bello nel flirtare o nello scopare con gente che hai appena conosciuto? Non so come facciano alcune a farselo andare bene.
Sabato si avvicina una macchina, fischiano. Io e la bionda continuiamo a camminare.
Volete un passaggio, ci chiedono.
No, grazie.
Insistono.
No, grazie. E vanno via.
Rido.
Ma adesso si corteggiano così le donne?
Sì? 
Sono vecchia.