mercoledì 29 maggio 2013

29 Maggio: le mani giunte e lo sguardo al cielo


Sono sparita, lo so.
Ho in bozza non so quante cose scritte e poi lasciate lì, senza una fine. Sono io così: scostante e confusa, e ultimamente, anche un po' stronza.
Solo che ho delle cose da risolvere con me. Mi faccio i monologhi ma non mi rispondo. 
"Emme, porca puttana, ci vuole un po' di autostima!". Ma niente, non arriva.
Comunque, divagazione a parte.
E' il 29 Maggio.
Il 29 Maggio, l'anno scorso, decidevo di partire per l'Emilia. C'era stata una scossa così forte che mi era arrivata al cuore. 
Ci sono tornata poi un paio di volte. Le emozioni sono sempre state tante e ho scritto non so quante pagine della moleskine.
In mezzo a quelle pagine, c'è la storia di quest'uomo di cui non so ancora il nome.
Era uno di quelli composti, attenti, silenziosi. Aveva 3 figli e la moglie era incinta di nuovo, ma erano senza casa.
Questo è quello che ho scritto un anno fa, quando l'ho incontrato.


"Il cielo è per metà rosa e per metà azzurro. Sono appena le cinque del mattino e fuori fa freddo. Resto stretta nella mia felpa, con il cappuccio a coprire la testa. Un paio di metri più in là, c’è un uomo seduto su una sedia, le dita intrecciate e lo sguardo al cielo, accanto un triciclo poggiato sulla tenda e un cartello blu che dice che quella è la “via della felicità”.
Sono stati i bambini a dividere e a dare i nomi a questo piccolo fazzoletto di terra che prima era solo un parcheggio o, all’occorrenza, un parco divertimenti. 
Il campo dorme ancora, non ci sono risate nè gente che chiacchiera, non c’è neanche l’odore del caffè nell’aria. 
Ci siamo io e lui. Io con il cappuccio in testa, lui con i pantaloni corti. Io che scrivo e cancello su un foglio, lui che guarda attento il cielo con le mani giunte.
Gli passo vicino e subito penso: “cerca di fare piano”. Mi ritrovo a camminare in punta di piedi, come se i miei passi possano davvero fare più rumore della torre faro ancora accesa. 
Lui, non si scompone, resta nella stessa posizione e mi sorride. Un sorriso spontaneo, di quelli che ti si stampano sul viso e fanno le fossette alle guance, di quelli che escono così, naturali, e si vedono anche i denti. 
“Buongiorno”, mi dice piano.
“Buongiorno”, rispondo.
Ogni mattina, allo stesso orario per otto giorni, gli ho camminato accanto in punta di piedi. Io con il cappuccio in testa, lui con le mani giunte. Per otto giorni, tra la “Via della felicità” e la “Via del sole” abbiamo condiviso l’alba, i sorrisi e la dolcezza di augurarci giornate buone, tutti i giorni. 
Tutte le volte, ho pensato di fermarmi e chiedergli cosa c’era di tanto interessante nel cielo. Tutte le volte ho preferito quel sorriso e quelle poche parole sussurrate."

venerdì 17 maggio 2013

Io la mattina dormo, loro usano gli hashtag




Sono il (pessimo) prodotto di questa società e del marketing.
Anzi, io sono il soggetto a cui i pubblicitari si rivolgono quando pensano a una nuova campagna.
Me l'immagino questi creativi, attorno a un tavolo, i fogli sparsi, e l'identikit di gente come me su una lavagnetta.
Gente come me che vuole fare l'alternativa, che non guarda la televisione perché fa schifo (ma ogni tanto una puntata di Uomini&donne mica farà male), che compra ai mercatini equo&solidali (ma oh, ad averceli 600 euro, un paio di Louboutin le acquisterebbe al volo), che le multinazionali devono morire, che zaino in spalla vorrebbero girare il mondo (ma aspetta, siamo sicuri che si riesce a vivere anche senza luce e acqua corrente?).
Insomma, io li vedo questi uomini che ridono di me e della gente come me perché, in fondo, lo sanno che siamo i più facili da convincere.
Per esempio, oggi passeggiavo al supermercato. No, non ho sbagliato termine: passeggiavo al supermercato.
Avevo già nel carrello dell'insalata, delle cotolette di pollo e un po' di pane, ma non ero soddisfatta. E quindi, nell'ora della pausa pranzo, mentre le cassiere mangiavano yogurt bianco e cereali (particolare trascurabile ma anche no), cercavo qualcosa.
E lì, l'illuminazione: la N U T E L L A.
E non quella normale, noooo! Il nuovo formato.
Sarà che erano le due e ancora dovevo pranzare, che fuori pioveva e io avevo appena lavato la macchina, che ultimamente le cose vanno un po' di merda ma ho letteralmente amato quello stand colorato pieno di amore al cioccolato.
Quindi, mi sono messa lì a scrutare i barattoli. "Ma io che formato sarò?", ho pensato.
Avrei preso il formato da 1 kg, così per non sbagliare, ma dato che l'estate è vicina mi sono convertita al comodissimo 630 gr, che secondo la Ferrero sarebbe perfetto per le coppie (Ferrero, prendi per il culo?).
"A ogni famiglia il suo buongiorno", recita la pubblicità. Che non è granché, anzi, è quasi banale.
Ma ti resta in testa e ti fa venire voglia di svegliarsi presto per fare colazione, cosa che alla fine non farò mai.
Ha anche l'hashtag: #noilamattina. Così come ha l'hashtag la nuova campagna di Desigual, #falloalmattino, che ho trovato geniale (irriverente, fresca e divertente!) ma anche la pubblicità di Dove che è bellissima e ha scelto, appunto, #weAreBeautiful.
Perché sempre i pubblicitari di cui sopra, sempre creativi e con i fogli sparsi sul tavolo, il caffè caldo e l'identikit mio e della gente come me, hanno pensato: com'è che li freghiamo sti finti alternativi?
Con gli hashtag, ovviamente!
Fa figo mettere un cancelletto davanti le parole? E noi facciamoglielo fare, facciamoli sentire fighi mentre gli facciamo comprare barattoli di Nutella, di cui non hanno bisogno, borse e vestiti, di cui potrebbero fare a meno e deodoranti (che no, quelli servono sempre. Tenetelo bene a mente: servono).
E noi, che ci facciamo prendere la mano facilmente, iniziamo a pubblicare su instagram, su twitter, su facebook, su pinterest, ovunque, anche se non abbiamo niente di troppo interessante da dire.
Perché, diciamocelo: io la mattina sono uno zombie che cammina, ma non parla. Altro che barattoli lanciati da una mano all'altra, altro che torte, balletti e sorrisi allo specchio (e/o vibratori sotto il cuscino). Quando riesco a dire "buongiorno" è già tanto e la gente si complimenta e fa gli applausi.
Resta il fatto, che comunque ci hanno preso, perché se scrivo un post alle 3 del mattino parlando dei miei acquisti sconclusionati e di come la pubblicità, ultimamente, stia, mio malgrado, influenzando la mia esistenza, loro hanno vinto alla grande.
Quindi, bravi gli ideatori di questi tre spot (e ora, dategli un aumento che se lo meritano).
Ah, con il barattolo di Nutella mi hanno regalato uno spalmino blu (uguale, identico a quello che hanno nella pubblicità) ed è - fatemi fare per un secondo l'esaltata -  ultra, mega fantastico.

ndr. Uomini&Donne lo guardavo ogni tanto prima e solo perché faceva ridere. Era quasi un esperimento sociologico (ok, non regge).

p.s. Giuro che nessuno mi ha pagato per scrivere tutto ciò, e questo la dice lunga sul come sto messa.


giovedì 9 maggio 2013

Auguri principino!




2007
Una scala lunga e illuminata da candele profumate.
Lui è bello come pochi. Elegante e bellissimo.
Arriva lei. Ha i boccoli che scendono fino alla schiena.
"Bambolina".
La bambolina, s'incazza subito perché "bambolina, ci chiami tua sorella". Poi, la bambolina lancia uno sguardo al suo accompagnatore che però fa spallucce, come a dire "lo sai. E' fatto così".
Il principe le prende la mano, le fa fare una piroette su sè stessa. 360 gradi completi, per essere guardata meglio.
"Hai capito la bambolina!". Poi, si gira verso l'accompagnatore: "hai capito tutto tu. Complimenti, fratello".
La bambolina finge la tosse, così, solo per fare capire che c'è.
Il piccolo lord, sempre elegante, le porge il braccio. La guarda, sorride: "sei la più bella e la più fortunata di tutte stasera". 
C'è la musica di sottofondo e l'odore di citronella nell'aria. La bambolina è una bambina, con una taglia 38 e un tacco 12 ai piedi.
La bambolina, quella sera, si scoprirà innamorata davvero per la prima volta.
E sarà il vino bianco, sarà l'aria, sarà che forse non è più così bambina ma quella sera saprà cosa vuol dire amore. Anche quando a fine serata incrocerà degli occhi azzurri conosciuti e non gli sembreranno più niente di che.
La bambolina tornerà a casa alle sette del mattino, il trucco sbavato e la cintura in borsa.
"Tanti auguri, piccolo principe"
"Grazie bambolina. Mi raccomando, tienitelo stretto. E' mio fratello. E' speciale".


In quel castano scuro, quasi nero, ci si poteva perdere se non si stava bene attenti. Era come navigare per mari in tempesta, era come scalare montagne altissime.
E quella risata. Una risata che erano tanti campanelli che suonano insieme, nella prima giornata di primavera, quando sbocciano i fiori di magnolia.
Il principino era uno di quelli che non passava inosservato.
La sicurezza sfacciata dei vent'anni, l'assoluta bellezza, quei modi di fare da piccolo lord. C'era dietro quella facciata, dietro quell'imporsi alla gente, tutto un mondo.
Tutto in quel castano scuro, quasi nero.
Quando lo conoscevi, dopo che ti aveva stretto forte la mano la prima volta, ti rendevi conto che avrebbe fatto grandi cose. Non era una sensazione ma una certezza.
Diceva di voler fare il medico e te lo immaginavi subito come il più bravo chirurgo di tutti i tempi, diceva di voler fare giurisprudenza e immediatamente ti sembrava di vederlo con la toga da magistrato, diceva di voler semplicemente nuotare e allora non avevi bisogno di immaginare. Era un delfino.
E' una dote, una virtù e non tutti la possiedono. Riuscire così bene in tutto senza sforzarsi per niente, essere brillanti anche facendo discorsi semplici.
Il principino, c'era poco da fare, brillava di luce propria.
E con lui si rideva. Sempre.

Una mattina di ottobre, quelle con il sole, ci siamo incontrati davanti casa. Un incontro come ce n'erano stati migliaia.
Ero di fretta, come sempre. I capelli arruffati e ribelli, un po' come me, mentre i suoi restavano fermi anche con il vento.
Un uomo perfetto e una donna imperfetta davanti una porta.
"Signora, i miei omaggi!". E subito dopo la sua risata fatta di campanelli.
"Quanto mi fai incazzare quando mi chiami signora?".
Mi apre la porta, il piccolo principe, e poi fa mezzo inchino.
"Dai, scemo", gli dico. Stringo un pacchetto in mano, dentro ci sono due brioche e qualcuno sta aspettando la sua colazione.
Ci fermiamo a guardarci, i suoi occhi castani, quasi neri, dentro i miei.
Ci siamo fatti una promessa quella mattina di ottobre ma è rimasta lì, tra gli stipiti di quella porta. Così come la sua risata, così come lui.
Non ho avuto mai il coraggio di parlarne con nessuno, anche perché non sono riuscita a mantenerla.
Glielo dicevo che non ero brava con i giuramenti, che non lo sono nemmeno adesso, ma non mi credeva mai.
Due sere più tardi, in una piazza inanimata e vuota, "ci dobbiamo vedere. Non lo facciamo mai", ha detto serio.
"Lo so", ho risposto frettolosa.
E quella è stata l'ultima volta che abbiamo parlato, che ho visto i suoi occhi, che ho sentito la sua risata.
Eppure, era destinato a fare grandi cose.
Allora, ripartiamo da capo che quello che mi dite non è possibile. Che vuol dire che non c'è più?
Che vuol dire che non potrò ascoltare la sua voce?
Ripartiamo da quella sera del 2007 che lui era bellissimo e io una bambina innamorata.
Ma non si può. La vita non ci fa mai tornare indietro.
E dopo quello schianto, dopo quel rumore è cambiato tutto. Siamo cambiati noi.
Ci sforzavamo di ridere perché lui rideva, ma le lacrime erano sempre pronte a scendere. Ci sforzavamo di stringerci e di vederci di più, come lui avrebbe voluto.
Ma non è mai stato abbastanza.
E' bastato un secondo, una distrazione, un brutto volo, un casco non messo.
Il principe non c'è più.
Non riesco a ricordare la sua risata, non riesco a ricordare la sua voce. E fa male.
In questi giorni avrebbe compiuto 24 anni.
Me lo voglio ricordare così, su quella scala con l'odore della citronella, mentre le sue parole mi fanno innamorare di suo "fratello".
"Auguri principino".

"Cosa c'entra questo cielo lucido, che non è mai stato così blu, e chi se ne frega delle nuvole mentre qui manchi tu?
E adesso che sei dovunque sei , chissà se ti arriva il mio pensiero. Chissà se ne ridi o se ti fa piacere."





domenica 5 maggio 2013

Sono un granello di sabbia

Ciao cuore mio. Come stai?
Lo so che ti faccio fare i salti, che sono faticosa anche per te.
Dico che sono forte. Che sto bene da sola. E io ti sento mentre ti ribelli alle mie parole dettate dalla testa.
Non riuscite mai ad andare d'accordo, eh.
C'è il cielo pieno di stelle stanotte. Brillano così tanto che se resti un minuto fermo, a guardare, non puoi che sentirti più leggero. L'odore è quello delle sere estive, quando qualcuno ti tiene per mano e ti dice che sei bella con quell'espressione buffa. Non c'è un'anima qui, nè il rumore di una macchina che passa. Niente. Siamo io, il cielo e questo bisogno di scrivere pensieri senza rileggerli.
Sai cosa ho imparato in questi giorni? Che la sabbia non se ne va neanche se vuoi. 
E alcune persone sono come la sabbia. Ci cammini sopra a piedi nudi e ti sembra la cosa più bella di sempre, ma lei - la sabbia così come alcune persone - si è già intrufolata nei posti più strani. Poi, torni a casa e cerchi di pulirti per bene, di rimuovere quella passeggiata in spiaggia. E togli granelli dai piedi, dalle unghia, dai calzini, dalle scarpe, dai risvolti dei jeans. Ma, magari, dopo qualche giorno ritroverai qualche granello dentro la borsa, tra le pagine di una Moleskine, nelle tasche di un jeans. Prenderai il granello di sabbia e sorriderai. Un sorriso che sa di memoria, di nostalgia, di delusione, di entusiasmo. È un mix strano che tu cuore mio continui a sopportare.
Quel giorno in riva al mare, con i nostri nomi scritti sulla sabbia che aspettavano solo il passaggio delle onde per essere cancellati, con il sole al tramonto, ho capito che io certa sabbia me la voglio tenere appiccicata alla pelle. E anche certe storie.
C'era il mio passato e il mio presente in quel fazzoletto di sabbia e mare. C'erano la mia pelle, le mie ossa, la mia carne e poi tu, cuore mio.
L'istinto a chiedere se saranno il mio futuro, anche se la risposta non la voglio davvero. Non ora. 
Perché le cose cambiano in fretta e probabilmente domani ci saremo già dimenticati di noi. Avremo già lo sguardo rivolto verso qualcos'altro. 
E i granelli di sabbia serviranno a ricordare il rumore del mare, l'odore di quel libro appena acquistato che nessuno leggerà, gli abbracci che non ci siamo dati.
Ho scelto di osare, di sbagliare, probabilmente. Sto cercando un modo per allontanarmi da tutto e da tutti e più cerco di farlo e più mi trovo legata a ciò che ho intorno.
Sono un granello di sabbia. Per quanto mi voglia fare trasportare dal vento, finirò sempre dentro la moleskine di qualcuno.