lunedì 30 dicembre 2013

Mi dico scrivi

Mi dico scrivi, mentre piango e non riesco a fermarmi. Non so nulla, a parte che sei sulla stessa ambulanza in cui molte volte ho dormito e riso e giocato. So che forse, per te, è l'ultimo viaggio. 
Mi dico scrivi che lo so che è l'unico modo per esorcizzare il dolore. 
Mi dico scrivi,ma non prendo appunti, mi scrivo nella testa che magari qualcosa la ricorderò. 
Mi ricordo del cassetto bianco, in fondo a destra, che ci tenevi i lecca lecca, i twix, i fazzoletti, le patatine. Non li abbiamo mai mangiati ma continuavi a comprarli. 
Mi ricordo di quando, alla cassa del supermercato, quel vecchio ti fissava il seno e tu avevi quella maglietta bianca e al centro c'erano i brillantini a formare la parola "Onyx". 
Mi ricordo quando chiamavo a casa e rispondevi sempre tu, vedevi il numero di casa mia, e invece di "pronto" rispondevi con quel nomignolo che ci aveva dato tuo padre, poi mi passavi tua sorella scongiurandoci di non stare a telefono per delle ore. 
E quando ero a casa tua, praticamente sempre, ci chiudevano nella tua stanza, io e tua sorella, e leggevamo gli sms che mandavi al tuo fidanzato. Ci sembrava divertente, solo adesso so che è scorretto. 
Mi ricordo che quando ti hanno detto che eri malata, ho pensato che saresti guarita e che quando sei guarita e ti sei sposata io ero a Roma in un albergo senza 3g, fuori c'era caldo, attorno alla piscina i cani giocavano a rincorrersi. 
Le foto di te in abito bianco le ho viste tardi e avevi sempre lo stesso sorriso. 
Non sei mia sorella, ma sei la sorella di mia sorella. 
Un po' sei stata anche la mia famiglia. 
Siamo cresciute insieme come se fosse naturale. Sei la sorella, eri la sorella, della mia metà perfetta, della "mia persona". 
A me adesso mi verrebbe da bestemmiare un dio qualsiasi perché a trent'anni non si muore così, ma tu avevi fede e ci credevi in questa vita dopo la morte, al paradiso. 
E se questo posto esiste, allora, so già che sei con i nonni (quelli che non sono
 i miei ma era come se lo fossero). Già vedo la nonna mentre ti dice che sei troppo magra e ti prepara il solito zabaione. 

Ho smesso di scrivere mentre guidavo per venire da te. I ragazzi mi hanno detto che non ci sei più, ho gridato, ho battuto i piedi, ho aperto la finestra perché mi mancava il respiro. 
Tua sorella mi ha visto, ha detto che non devo piangere perché adesso stai bene, poi ha pianto anche lei.
C'eri tu, bella come sempre, con quell'espressione immobile.
C'era un sacco di altra gente. 
Mi sembra di piangere da giorni ma sono solo poche ore. 
Mi sembra di morire un po' con te.  
Sono svuotata e annientata.  

Mi hanno scavata dentro. 

venerdì 27 dicembre 2013

Fotoscrittrice, scrittricefotografa, scrittrice, fotografa


Hanno tutti una reflex, di cui sto imparando i nomi più per spirito di sopravvivenza che altro.
300D, 60D, MarkII e qualcosa.
E sto imparando anche le regole basi come non nominare una Nikon davanti un Canonista, non nominare una Canon davanti un Nikonista. Poi, ci sarebbe Fujifilm ma non ho capito se è da intenditori o da sfigati. Il confine è labile.
Avendo tutti una refelex, sono tutti fotografi. Semplice Watson! Più delle analogie di Socrate (o era Aristotele? Ma quanti anni sono passati dall'ultima volta che ho letto un libro di filosofia? Orrore!).
E se sono fotografi probabilmente avranno anche il marchietto in fondo alle foto e con buona pace di tutto il resto, se sei davvero fortunata, hanno anche la pagina fan su Facebook: *nomecognome* Photographer.
A tutto aggiungici che una bella parte di questi "fotografi" hanno anche le amiche modelle, semi modelle, quasi modelle o "a una modella non c'assomiglio neanche per sbaglio, ma tant'è..".
E mettiamoci che io non li sopporto perché in verità le reflex m'affascinano e io a premere click su questi aggeggini mi diverto un sacco, litigo un po' con la messa a fuoco e le mie foto non sono niente di che quindi il marchietto in fondo non ce lo metterei mai e non andrei in giro a dire "l'ho fatta io". E' una foto, una come un'altra.
Essere fotografi mi pare un po' diverso e probabilmente ha anche un significato più profondo.
Anche perché le pagine fan "photographer" per lo più contengono foto di scampagnate tra amici, bei primi piani per carità, qualche foto artistica con pozzanghera e arcobaleno ma non mi pare basti.
"Fai l'artista? 
E ce lo caghi che sei un'artista", direbbe qualcuno.
Da domani, io che ho un blog da più di un anno, mi faccio la pagina fan *nomecognome* blogger o ancora meglio *nomecognome* scrittrice.
Tanto ho un mac, un po' di fogli bianchi, delle penne, la moleskine, anzi ne ho due e qualche pennarello. Basterà?
E comunque, ogni tanto, anche a me riescono foto fighe quindi, forse, potrei dire di essere una fotoscrittrice o una scritfotografa o scrittricefotografa o una fotografascrittrice. Quale vi piace? Lo metto sulla biografia di Twitter (e sul curriculum vitae formato europeo con foto).
 Mi chiedo: sono io che mi critico troppo, sono gli altri che si prendono troppo sul serio, entrambi o "non so, non penso, non ho un'opinione in merito"?
Comunque sia ho trovato 60 motivi per rendere pubblico questo blog e 4 per lasciarlo così. Hanno vinto, stravinto con giubilo, i 4 motivi contro.
Chi l'ha detto che vince sempre la maggioranza? Non qui.

Sto cercando di scrivere i buoni propositi per l'anno nuovo che l'anno scorso mi è andata di culo.
Vediamo se mi riesce a farlo prima del 31.
In caso contrario: auguri a tutti voi, a tutti quelli che sono passati di qui, alle presenze fisse, alle presenze fisse anonime, insomma proprio a tutti tutti.
Buon inizio d'anno. Di cuore.

5 minuti di fotografie (e fotografie) che piacciono a me:

Elliot Erwitt





Koudelka 


 Steve McCurry




Fausto Podavini



Angelo Merendino




giovedì 26 dicembre 2013

So be good for goodness sake (Santa Claus is coming to town)


I primi Natali di cui ho ricordo sono chiassosi, confusi e incasinati. Perché qui, prima, si festeggiava in grande.
30, 40 persone in una stanza. La tombola, il mercante in fiera, i bambini che piangevano, che si rincorrevano, che cadevano. Erano Natali a porte aperte con cugini di primo, secondo, ottavo grado; suoceri, consuoceri, suoceri dei suoceri, cugini dei suoceri, vicini di casa dei cugini.
Tipo che annoiarsi era praticamente impossibile. 
Mi ricordo i cenoni della vigilia festeggiati a casa di una zia, con tavoli sparsi un po' per tutta la casa, mi ricordo le mille lire che mio zio mi passava sotto il tavolo quando si giocava a carte, mi ricordo gli scintillini che davano a noi bambini per festeggiare l'arrivo dell'anno nuovo.
Mi ricordo il Capodanno del 1999, che si cambiava il millennio, e io dicevo a mia cugina che 2000 era un numero troppo assurdo, allora lo scrivevo con un dito sulla carta da pareti della casa di zia. 2 0 0 0: guarda quanti zeri! Ci pensi? 2 0 0 0.
Mi ricordo che la felicità non era tanto scartare i regali, ma stare insieme e l'odore delle lasagne appena sfornate, gli antipasti su tutti i tavoli, il vestito buono delle feste, le candele alla vaniglia. 
Per tutti questi motivi non dovrei schifare così tanto il Natale eppure è un periodo che mi rende nervosa.  Perché i messaggini preconfezionati e mandati prima della mezzanotte, quelli che ti taggano su tutte le foto in tema per augurarti delle "serene feste", quelli che devono pubblicare duecento foto dell'albero per farti vedere che, sotto, ci sono i pacchetti di Tiffany e Chanel (esticcazzi!), quelli che non senti mai e poi resuscitano a Dicembre, io, tutti questi, non li sopporto.
Mi metto tristezza a vedere la gente nei supermercati, nei negozi di giocattoli, avvolta nelle pellicce fuori la porta della chiesa. 
Così da un paio di anni non mando auguri, non chiamo la gente, faccio regali solo se mi va e se c'è qualcosa che mi piace davvero, passo il Natale seduta per terra a giocare con la seienne.
Che io ho avuto feste sempre divertenti e lei no.
Ieri la guardavo mentre sistemava il succo di frutto e i biscotti per Babbo Natale. 
Anche se c'era l'annosa questione del camino che a casa sua non c'è. 
Se non scende dal camino, questo Babbo Natale da dove entra? 
Dalla finestra, ho detto io.
Sono chiuse, ha risposto lei.
E allora ha le chiavi di casa, ho detto io.
E lei si è stupita perché il porta chiavi doveva essere praticamente enorme. Miliardi di chiavi di casa. Oppure una sola, chi lo sa.
E forse questo Natale, di regali fatti con il cuore e pensieri sentiti, mi è stato un po' meno stretto. Ha vestito un po' di più la mia taglia, mi ci sono sentita quasi bene.
Guardando gli occhi della seienne mentre scartava la sua prima chitarra, cantando "tu scendi dalle stelle" con la voce più cretina che ho, ridendo con la nonna delle cose che non sa e che non so neppure io, giocando con la treenne che questa storia dei regali non ce l'ha ancora molto chiara.
Guardando un panorama bellissimo, che sembra quasi un presepe, alle 4 del mattino con gli amici con cui fai la notte di Natale (post cena con parenti, of course) ormai da anni, sempre quelli e sempre uguali.
Parlando di Andrea Pazienza, che non si fa mai abbastanza. 
E anche di quanto mi manca Roma, ma per ora abbracciatemi e non ci pensiamo (anche perché poi, quando sarò di nuovo a Roma, mi mancheranno gli abbracci e non potrò dirlo a nessuno).
E' stato un Natale dolce, come il pandoro con i cuoricini rosa e le stelline, che la seienne è impazzita quando l'ha visto.
E' stato un Natale non chiassoso ma di famiglia, d'amore, di calore, con poche luci e nastrini e ornamenti ma con l'essenziale.
E' stato perfetto.
E' stato il Natale che io penso sia Natale, che non è festeggiare l'arrivo di un bambino salvatore sulla terra ma festeggiare l'amore, gli affetti, curarsi le ferite dell'anima con abbracci interminabili e sessioni spietate di cibo al cioccolato.
E forse non sono più così tanto un grinch.

E sempre forse, questa potremmo chiamarla felicità. 
Lo so, lo dico spesso e poi torno a scrivere cose tristi ma è vero, sono felice. A giorni alterni.



lunedì 23 dicembre 2013

Troppo poco


Quando qualcuno ti ha dato tanto, tanto che non riesci a quantificarlo, come fai a lasciarlo andare?
Come si chiude la scatola con tutti i ricordi dentro, per riporla in qualche soffitta, e poi dimenticarla per sempre?
Non so come si fa. 
Io che gli amici sono gli stessi da dieci, ma anche quindici anni. Io che il mio ex lo sento almeno una volta a settimana e ho ancora le sue foto appese alle pareti della mia stanza.
Io, sì proprio io, che non so lasciare andare nessuno se penso che ne valga la pena. 
Io che mi sono anche stufata di scrivere io perché vorrei scrivere un po' di noi, di te, di qualcuno che non sia io.
Quantifichiamo insieme il dolore, la delusione, la rabbia che dobbiamo accumulare per dire basta? 1, 2, 10, 100?
Lo so che è Natale e siete tutti estremamente felici, presi dai pacchetti con i biglietti scritti a mano, le luci degli alberi, lo zenzero, la cannella, l'odore di fritto per casa ma io invece, a me, mi pare di vivere in una bolla di sapone.
A me, invece, mi sembra di essere sempre fuori posto e troppo pensante o troppo poco pensante, troppo truccata o troppo poco truccata, troppo vestita o troppo poco vestita.
Troppo nervosa, troppo ansiosa, troppo acida, troppo cinica.
Poi, ieri in mezzo a della gente, che conosco da una vita, non ero niente di tutto questo.
Poi, oggi ho visto una foto e nella foto c'era uno che sorrideva con un sorriso dolce e io quel sorriso, proprio quello, l'ho visto un paio di volte ma la prima volta l'ho visto (per davvero) l'anno scorso in questi giorni. E per quel sorriso, proprio quello, ho pensato di essere troppo poco. 
Che troppo poco è un controsenso bello e buono. O sei troppo o sei poco, no?
Comunque sia, nonostante le arrabbiature e le delusioni, ho guardato la foto e ho sentito il calore allo stomaco e al cuore e ho pensato che per quanto lui possa deludermi e farmi arrabbiare, resta sempre lui e io non ce la farò mai a cancellarlo completamente.
Mi verrebbero da dire molte cose, mi verrebbe da scrivere una lettera con una bic blu, piena di sbavature e cancellature. 
Si perde sempre qualcosa e io in questo gioco delle scelte ho perso un pezzo di me, forse quello più spensierato. 

Che poi per perdere avrei dovuto giocare o quanto meno combattere e io non sto facendo nessuna delle due cose. Mi sono ritirata subito, mettendo giù le armi e innalzando barricate.
E chissà se si può anche perdere poco, perdere solo un po'.

martedì 10 dicembre 2013

Ancora tu, ma non dovevamo non vederci più?


Ho iniziato questo post così tante volte che adesso non so più quello che volevo scrivere all'inizio.
Hanno messo le luci di Natale e via del Corso è di mille colori diversi. Forse, non proprio mille ma io la vedo colorata. 
Piazza Navona ha la giostra che gira fino a tardi e ci sono i cavalli e le tazze. Mi sono cantata tutto il tempo la canzone di Anastasia.
Sempre lì, mi sono fatta comprare quelle caramelle rosse lunghissime che hanno un sapore dolce e aspro insieme e mentre le mangio faccio tutte quelle facce strane perché un po' mi fanno schifo. 
Il Natale continua a non piacermi, però in queste settimane grazie ai ponti, più o meno lunghi, ho visto gente che vive più sù di qui, che sarebbe vicino Bologna.
Sono stati dei fine settimana movimentati, di treni, valigie, saluti e abbracci e famiglie (che non sono la mia). Tra nord e sud. 
Dalla mia, di famiglia, ci torno presto e non so ancora dire se mi manca oppure no. 
Al Colosseo hanno messo un albero gigante e bellissimo, solo che quando m'immaginavo questo giorno me lo immaginavo diverso e invece avevo una sciarpa che cadeva di continuo e qualcuno che ripeteva il mio nome e rideva ma non era chi avrei voluto lì, in quel momento. 
Ho fatto degli esami, li ho passati, non l'ho detto a nessuno. 
Mi sono persa sabato in una strada piena di macchine e poca gente, era quasi mattina e non sapevo come sarebbe andata a finire ma ero tranquilla e mi ripetevo che poteva andar malissimo ma anche bene. 
E' andata bene, ho ritrovato la strada di casa e poi ho trovato le ragazze ancora sveglie e quindi ci siamo messe su un letto a parlare d'amore.
Io non lo so cos'è questo bisogno improvviso d'amore che mi viene da dentro, che anche adesso che lo scrivo e ci penso mi viene quasi da piangere. 
Eppure quando, l'altro giorno, mi hanno preso per mano, ho sentito un brivido percorrermi il corpo e un rifiuto di qualsiasi gesto d'affetto che sia più di un semplice ciao, come stai.
Ma sono complicata io o tutto il resto del mondo? 
Continuo a pensare a quello che mi manca senza capire se mi manca davvero, continuo a credere nelle cose buone.
A metà Novembre avevo scritto la mia wishlist per Natale, ed era quasi divertente da leggere, ma non l'ho più pubblicata perché ho pensato che non voglio regali. Non sopporto questo scambio di niente, di gente che si rompe il cazzo a stare insieme ma lo fa perché deve.
Poi, quando ricevo i regali mi capitano due emozioni diverse: la prima, che capita quando capisco che il pensiero è bello ed è fatto perché mi vogliono bene davvero, è che mi sento inadeguata come se non lo meritassi; la seconda, che capita tutte le altre volte, è una gioia recitata come se stessi seguendo un copione, "cheee beeellooo. Ma graaaazieeeeeee". Con tutte le vocali allungate.
O il silenzio o le cantilene. Non so cosa sia peggio. 
Devo imparare ad andare avanti, a correre forte quando sento che certi pensieri mi stanno raggiungendo.
Che io, alla fine, non sono neanche così: non mi piango addosso, non perdo la testa. 

Ho voglia di cose semplici, parole antiche, rime sentite, cioccolate calde con panna, sciarpe fatte a mano, perdermi in un abbraccio, piangere per ore, schiacciare foglie, correre forte e gridare di più, dirti tutto quello che mi passa per la testa compreso il fatto che secondo me non sai che ti perdi, scrivere una storia lunga che non finisce bene, ripensarci e scrivere un finale a lieto fine.
Voglio un bollitore elettrico, un caffè americano, un bagno caldo, una doccia fredda, la pizza con la granella di pistacchio, i miei cani, un po' di sicurezza, la ghd per piastrarmi i capelli, le mani sporche di inchiostro blu, sapere i tuoi pensieri.
Ma se poi tu mi tocchi e penso che non voglio niente di tutto questo? E se invece non ci vedessimo mai più? 

"Ancora tu ma non dovevamo non vederci più?"