domenica 28 luglio 2013

Maria

Maria firma su un foglio e ci mette accanto il cognome del marito.
Maria si presenta alla gente con il cognome del marito.
Non è vanità: quel cognome è un cognome normale, come tanti altri. Non dice niente d'importante. Te lo perdi subito e fai fatica a ricordarlo. Ma è di suo marito, quindi è suo.
Lo porta a spasso fiera, lo mostra alla gente come fosse un gioiello prezioso, lo fa splendere al sole come si fa con le lenzuola di lino appena lavate.
Lei, Maria, quel cognome l'aveva tanto voluto e desiderato. L'aveva protetto dalle cattiverie della gente, dal tempo, dalle crisi. 
Quel cognome è il legame che la unisce a lui ancora oggi che lui non c'è più. Perché un giorno di Maggio, quando ancora il sole fa cucù con le nuvole, lui se n'è andato. Sereno, con il sorriso sul volto, e la mano di Maria che stringeva forte la sua.
E' stata la prima volta che l'ho vista piangere. Le scendevano le lacrime e singhiozzava, talmente piccola che ti veniva voglia di abbracciartela forte.
Io, Maria, da bambina la guardavo e pensavo che era bellissima e anche oggi, che ha quasi settant'anni, penso che lo è.
E pensavo che mi piaceva che si sentisse talmente di "qualcuno" da volerne portare il cognome. E pensavo che a me, invece, mi hanno insegnato che io sono mia  e che nessuno sarà mai così importante da meritarsi un pezzo di me.
La generazione di Maria  non ha paura dell'appartenenza, dell'appartenersi. 
La mia scappa dalle relazioni: è precaria nel lavoro, nella vita e nei legami.
Che io, poi, la guardo Maria ed è tutto meno che antica: ha il rossetto sulle labbra e quando esco mi raccomanda di divertirmi, ed è stata madre dolcissima e guerriera allo stesso tempo, ed è stata comprensione e scudo per quell'uomo che tanto amava.
E un po' la invidio quella donna con i capelli chiari e il sorriso grande.
Perché io non so essere di qualcuno, non mi so regalare mai abbastanza e mi terrorizza perdere un pezzo di me. Che io voglio essere "uno" prima di essere la "metà di uno".
Che io sono quella che si butta su un lavoro e magari ci perde il sonno e un paio di pasti, che si scorda di chiamare e anche come si chiama. Che io prima di trovare un altro cognome devo dimostrare di meritarmi il mio.
Ma poi la guardo, Maria con un cognome non suo e la fede ancora al dito, e penso che lei ha capito tutto e io mai niente.
E penso che, forse, prima o poi lo vorrei uno con cui dividere, un po', un pezzo di me.

sabato 20 luglio 2013

Ai tuoi sorrisi


"F, ma questo ha studiato a Yale?"
"Mi sembra di sì. Forse, solo in Erasmus per sei mesi!"
"Ah, però! Secondo te questo mi fidanza?"
"No".

"Ultimamente vivo sempre con questa sensazione del cerchio che si chiude. Solo che non ho ancora capito cosa succede quando si è chiuso del tutto"
"Muori!".

"Pranzi con me?"
"No, vado a casa. E' il mio onomastico. I miei ci tengono!"
"Maa scusaaa, non mi avevi detto che Sant'Alessio era ieri?"
"Si, era ieri. E io non mi chiamo Alessia, infatti!".

Inizio da qui. Dalle cose sceme che ci diciamo, che lo capisci subito quando sono completamente giù/fuori fase e te ne esci con queste battute che sono un mix perfetto e letale di ironia e sarcasmo.
E te lo scrivo qui perché se questo posto esiste, se io scrivo, è (quasi) solo grazie a te che un giorno mi hai detto: "apri un blog e scrivi. Ma scrivi tanto. E scrivimi che mi piace leggerti".
E io oggi ti scrivo.
Oggi che è il giorno dopo dei tuoi 18++.
Lo faccio oggi perché siamo noi così: sempre un po' in ritardo, sempre un passo dopo.
A te che io piangevo e mi tenevi la mano.
A te che interpreti le mie smorfie e poi ne ridi un sacco.
Al tuo modo meraviglioso di entrare nella vita della gente: bussando, piano e chiedendo sempre scusa del disturbo.
Ai tuoi "grazie" perché, ormai, la gratitudine è una roba talmente rara che ti rende ancora più speciale.
Ai tuoi occhi che esprimono un mondo infinito e ogni tanto si bagnano di lacrime.
Alla tua sensibilità.
Alla tua voglia di metterti in gioco.
Ai tuoi mille interessi, i tuoi duemila impegni, alle tue tremila attività che a starti dietro mi gira la testa.
Alla te che voleva chiamare "lui" per dirgli di smetterla di farmi così male.
A te che ti travesti per Carnevale, per Halloween, per le feste e mai nella vita.
A quella foto in cui abbiamo le orecchie da "topo" che mi piace un sacco ma che nessuna delle due ha avuto il coraggio di mettere come foto profilo per non incappare in qualche battuta che non fa ridere.
All'email che ci mandiamo, che ci fanno ridere ma che sono certa non capirebbe nessuno a parte noi.
Alle nottate passate in chat perché nessuna delle due ha sonno e alle nottate passate davanti una birra e un computer a lavorare fianco a fianco.
Alle idee che ti vengono e che coinvolgono tutti.
Alla tua risata contagiosa.
Alla tua voglia di vita.
All'amore che metti nelle cose che fai.
Al meglio che sei riuscita a prendere in me, in quest'anno fatto insieme.

Ai tuoi meravigliosi 18++, perché sono certa che l'importante è non sentirli.
Le cose belle arriveranno, ne sono certa. Te le meriti tutte.
Sei portatrice sana di allegria e se il mondo non gira nel verso giusto per te, non capisco per chi dovrebbe farlo.
Ti voglio bene. Con il cuore.

martedì 16 luglio 2013

Vivi


Ho delle foto da togliere dalle pareti ma non ce la faccio. Sono lì  e mi guardano tutti i giorni, quando mi sveglio e quando mi addormento. Sono lì e non dovrebbero più esserci.
Ho dei pensieri per la testa: quelli che non lasciano spazio ai punti. Sono delle virgole continue e difficili da spiegare alla gente perché si annoierebbe, perché le mie fragilità sono mie mica loro.
Ho dei libri da leggere, me ne regalano molti e non sanno quanto bene (mi) fanno.
Ho delle storie da ascoltare, da raccontare, di cui innamorarmi, per cui emozionarmi. Come l'anziano signore che ieri mi raccontava della sua vita, del carro tirato a mano quand'era in Toscana, della bellezza di Lucca, dell'efficienza di Modena, dei nipotini a Roma.
Ho il cinismo insito in me, come una malattia che scava e scava e poi fa i buchi nello stomaco. Un cinismo che è una difesa, che rende forti ma debolissimi allo stesso tempo. Che ti svuota l'anima e neanche te ne accorgi.
Ho dei sogni che sono degli incubi e la mattina mi sveglio con l'ansia di qualcosa che non è mai successo e mai succederà. Sento la sua mancanza ma la rispedisco indietro come un boomerang perché non voglio più averti tra le mie cose e nelle mie giornate.
Ho delle domande da fare a cui nessuno da' le risposte.
Ho degli scatoloni da preparare:  vita da prendere e chiudere con del nastro adesivo.
Ho una nipote che dice: "che sseei bbella".
Ho delle amiche che danno la colpa alla luna calante quando le cose mi vanno di merda.
Ho una nausea continua, anche in questo momento.
Ho molta voglia di scrivere ultimamente.

Io non lo so che cos'è quest'irrequietezza che mi porta a vedere il nero nelle cose e poi il rosa e poi il nero e poi il rosa.

E' come essere due persone in una: la prima vorrebbe abbracciare il mondo, la seconda lo vorrebbe sfanculare tutto per intero.
Mi sento incompleta e non sono sicura che partire mi completerà davvero.
Ma intanto, come fai a saperlo se non lo fai?
Io me lo chiedo spesso: come si fa a restare vivi?
Non vivi con il cuore che batte.. quello, su per giù, so come funziona.
Vivi con una testa pensante. Vivi senza farsi trascinare dai brutti pensieri. Vivi.
Come?