lunedì 31 dicembre 2012

I miei auguri per il 2013!


Mi sono seduta davanti a questo foglio bianco tante volte. Avrei voluto scrivere di diverse cose. Poi, mi è mancato il tempo, la voglia, l’idea. 
Ho mille pensieri che si confondono tra loro e restano sospesi. Sono come il fumo di una sigaretta. Sento che ci sono, vedo in che direzione vanno e poi.. puff, spariti. Per sempre.

Natale è passato anche quest’anno, per fortuna aggiungerei. 
E’ stato un Natale più nelle mie corde. Fatto di famiglia, amici, risate. Ho eliminato tutta quella parte ipocrita delle feste che mi faceva sentire spaesata: le telefonate forzate, gli sms di rito copiatieincollati, i regali da sbattimento.
Chi volevo ci fosse, alla fine c’è stato. Anche solo con una telefonata, anche solo per un “come stai?”. 
Era il mio primo Natale da single dopo anni e pensavo che sarebbe stato strano e, invece, è stato sereno, liberatorio e forse perfetto così.
Finite queste feste veniamo catapultati in quel breve periodo dell’anno in cui è d’obbligo fare un bilancio. 
Per una del mio segno zodiacale è quasi un rito. Traccio una linea immaginaria e divido gli eventi: positivo, negativo, così così, da rivedere. 
E’ un lavorone! 
Questo 2012 lo archivio a malincuore, non perché sia stato l’anno migliore di tutti ma perché è stato vita pura. 
Vita che ti prende e ti dice che è ora di guardarti intorno, di sporcarti le mani e ridere con il cuore. 
Ho pianto tanto in questo 2012 e ho pensato mille volte di mettermi a dormire per svegliarmi solo tra qualche anno. Ho avuto bisogno di abbracci caldi e forti che non sempre sono arrivati, ho cercato disperatamente mani di qualcuno che mi sostenesse quando stavo per cadere, ho sentito nitidamente il cuore rompersi più volte. 
Sono stata fragile, consapevole di esserlo. Mi sono sgretolata davanti agli occhi di tanta gente e non ho finto di essere forte. Non ho preteso di essere forte per forza. 
Ho urlato. Ho scoperto che si può piangere e ridere nello stesso momento e che non sempre è positivo. Mi è mancata l’aria tante volte e ancora di più mi sono sentita soffocare. 
Però ho anche riso con il cuore. Ho abbracciato e baciato senza chiedermi se fosse giusto. Mi sono raccontata e ho ascoltato tanto. Ho scoperto che sentimenti come l’ammirazione e la stima sono più forti dell’amore. Ho sfidato i miei limiti e mi sono sentita capace di spostare montagne. Ho tenuto strette le mani di un bambino per giorni e non ho mai desiderato tanto di continuare a farlo. Ho gioito per gioie non mie e l’emozione è stata il doppio. Ho sentito di essere piena anche quando tutto attorno a me mi dava per sconfitta e finita. 
E’ stato un anno consapevole. Di scelte importanti. Difficile e bellissimo. 
Mi aspetto che il 2013 lo sia altrettanto.  Non faccio l’elenco dei buoni propositi perché sarebbe lunghissimo. 
Che sia un anno che ci ponga di fronte a bivi e a scelte importanti. 
Un anno che ci faccia sbagliare. Perché lo spazio per gli errori è importante: sbaglia chi sa osare. Sbaglia e capisce l’errore commesso solo chi è umile. Commette degli errori chi si mette in gioco e non si arrende alla prima caduta. 
Che sia un anno di emozioni che ci fanno ridere per ore o piangere e imprecare per giorni. Di quelle che destabilizzano e ci rendono fragili anche di fronte a chi non vorremmo, perché solo in quei momenti ci apriamo davvero e regaliamo la nostra vera essenza. 
Un anno di amori folli e di grandi passioni. 
Di viaggi fatti con la voglia di guardare il mondo da un altro punto di vista. 
Di grandi cambiamenti, se ne abbiamo bisogno. 
Un anno che spiazza e ci lascia senza parole, con la bocca aperta per qualche secondo. 
E questo è quello che mi auguro e che vi auguro. 
A me, soltanto a me, auguro di avere la forza di scegliere e di portare avanti i miei sogni. E poi come sempre, mi auguro un prato di violette e di fiori blu dove poter stendermi al sole e sentirmi, finalmente, a casa. 

Auguri e grazie per avermi seguito in questi mesi di blog!



lunedì 10 dicembre 2012

Anche Emme per #leaveamessage


Per una come me, che segue Ma Che Davvero da anni, era impossibile non accettare l'invito a sposare #leaveamessage.
Qualcuno l'avrà seguito anche l'anno scorso perché ha fatto numeri pazzeschi e perché i bigliettini di #leaveamessage hanno fanno un successone. 
Quest'anno tornano! Il 14 dicembre siamo pronti a lanciare buone vibrazioni al mondo? 
L'anno scorso andò così, Prima edizione, ma quest'anno vogliamo fare meglio e di più, anche per una buona causa.

In cosa consiste #leaveamessage? 
Semplice! Basta scrivere sui biglietti pensieri positivi, citazioni che ci piacciono, previsioni (ma sempre positive!) per portare il buon umore a chi li leggerà. Soprattutto, basterà lasciare i biglietti in posti in cui hanno la massima possibilità di essere trovati: a scuola, nella sala d'aspetto di un ospedale, all'ufficio, sull'autobus. L'anno scorso, qualcuno, lasciò un biglietto su un aereo, tratta Milano - Parigi. 
"Tracciarli" sarà ancora più facile se userete su twitter e instagram, l'hashtag #leaveamessage. E se ne trovate uno fate lo stesso, fotografatelo e twittatelo. Sarà bello vedere l'effetto che fanno questi messaggi positivi sulla gente.

Se l'idea vi piace e volete farle un po' di pubblicità, scaricate e stampate la locandina qui sotto e aiutateci a promuovere l'iniziativa nella vostra città. Potete appenderla a scuola, in palestra, in ufficio, nel vostro negozio o bar, insomma: ovunque possa essere letto da più persone possibili. E incoraggiate la partecipazione a #leaveamessage nel vostro gruppo! Non sarebbe divertente scoprire, il 14 mattina, tanti bigliettini misteriosi e pieni di sentimenti positivi, tra i grigi computer dell'ufficio? 
E quando arriva il 14 dicembre? 
Scaricate i bigliettini ufficiali di #leaveamessage, creati da Chiara Santamaria, oppure scrivete il vostro pensieri su dei biglietti qualunque. 
Quando avrete finito di scrivere il vostro pensiero positivo, lasciate i biglietti ovunque!
Condividete i vostri biglietti online: tramite twitter e instagram con l'hashtag #leaveamessage, tramite facebook linkando la pagina http://bit.ly/leaveamessage2012.

La novità della seconda edizione di #leaveamessage è il sostegno all' Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. 
Quale luogo migliore, infatti, per far circolare messaggi positivi e di speranza se non un grande ospedale pediatrico?
Ma che davvero e gli altri blog aderenti all'iniziativa hanno avuto l'onore di parlare con la Fondazione Meyer che ha accettato di buon grado la proposta.
L'ospedale Meyer si è reso disponibile a pubblicizzare #leaveamessage all'interno dei suoi reparti.
Immaginate quanti biglietti ci saranno tra le corsie del Meyer? 

Inoltre vi invitiamo di cuore, se decidete di aderire a #leaveamessage, a fare una piccola donazione alla Fondazione Meyer, che si impegna affinché l'Ospedale possa aiutare sempre più bambini, sempre meglio.
E' semplicissimo, potete farlo: 
  1. Via Facebook, anche tramite Paypol
  2. dal sito dell' ospedale
  3. Acquistando un regalo di Natale solidale
Non è assolutamente una condizione per partecipare a #leaveamessage, solo un invito per dare un senso più concreto a tutta l'energia positiva e ai buoni sentimenti che vogliamo diffondere.

Quale luogo, più di un Ospedale Pediatrico, merita sorrisi e dolcezza, soprattutto sotto Natale?


Pronti? 

martedì 4 dicembre 2012

Fermi tutti.


Fermi. Fermi tutti, mi verrebbe da urlare ogni tanto.
Ma loro, chi mi ascolta, sono già fermi, immobili, bloccati. Senza speranza.
Esagero? 
Esagererei se non li vivessi ogni giorno, se non vedessi i loro occhi vuoti, se non sentissi sulla mia pelle le loro frustrazioni, le loro insoddisfazioni. Che sono anche le mie.
Fino a quando non ci vivi in una terra senza futuro non puoi capire. Pensi che giovane è bello, che tutto è divertente, che tanto il futuro aspetterà.
Ma non è vero niente. Non è vero perché questa parola, “futuro”, ce la ripetono tutti riempiendola di significati che capiscono solo loro. Ci fanno sentire piccoli e inadeguati.
Ci dicono: “Siete giovani choosy”. E noi, invece, di ribellarci, di sbattere i pugni, un po’ ci crediamo e diciamo che sì, forse, lo siamo davvero.
Forse, quelli sbagliati siamo noi.
Ma non è vero un cazzo. 
Cosa c’è di sbagliato nel sognare? Cosa nel desiderare una vita che non sia triste, monotona e che non ci piace?
Mi ricordo gli ultimi anni del liceo, quelli dove sognavamo la vita che veniva e 
ci travolgeva tutti con entusiasmo.
Mi ricordo di un Lui che mi guardava e diceva che avrei spaccato il mondo, se solo lo avessi voluto davvero. Poi quelle parole se l’è portate il vento.
Ricordo di sogni fatti di casa, di risate tra amici. 
“Poi vi sposate e noi veniamo a pranzo da voi ogni domenica!”.
La vita complice di amiche che sognano figli che saranno amici anche loro.
Eravamo dei ragazzini e il mondo ci sembrava in attesa solo di un nostro cenno. Come se non ci fossimo nient’altro che noi.
Ci dicevamo che noi, in questa terra, ci volevamo restare perché ci aveva regalato tanto.
Poi, qualcosa si rompe e lo capisci subito quando accade. Iniziano ad andarsene. Qualcuno per sempre. 
Roma, Milano, Torino, Bologna, Venezia. 
Quante lacrime ho versato davanti un gate? Quante volte ci siamo detti: “la distanza non cambierà le cose?”.
Tutte quelle parole sul restare insieme, sul vederci invecchiare, non hanno più alcun senso.
I pochi rimasti, sono pronti a prendere il volo in questi anni. Stanchi e nauseati dalla stessa città che ci ha cresciuto.
“Altri 5 minuti, solo altri 5!”. 

Fatemi sognare ancora una casa con il giardino, ditemi che un giorno saremo tutti insieme come un tempo a gioire dei nostri successi e a piangere dei dolori che verranno. 
Ditemi che un giorno avrò dei figli e che loro vi chiameranno per nome, che giocheranno insieme ai vostri figli, che andranno a fumare le prime sigarette nello stesso angolo nascosto dove lo facevamo noi.
Datemi la sicurezza di un sogno svanito, ancora per un po’.
Almeno, fatelo oggi.

Domani mi sveglierò meno nostalgica. E penserò alla mia partenza, che a questo punto non è neanche lontana.

venerdì 23 novembre 2012

Roma è Amor al contrario



Un giorno mi hanno scritto AMOR in verticale. Continuavo a guardare quella scritta senza capirne il senso. Ci provavo a trovarne uno, ma niente. Poi a un certo punto, è arrivata come un' illuminazione: "Perché mi hai scritto Roma al contrario?".  (E' successo davvero.)


Ho visto Roma di corsa. L’ho vista tra uno “sbrigati che è tardi!” e un “Dai! Perdiamo l’aereo”.
E’ stato un passaggio così veloce che mi sembra quasi di non esserci stata per niente.
Roma mi fa sempre lo stesso effetto: è adrenalina pura. 
Roma mi fa tornare bambina. Mi fa ricordare quelle sensazioni di stupore che difficilmente riusciamo ad avere nella vita di tutti i giorni. Roma è fatta di prime volte anche quando l'hai vista fino alla nausea.
Roma è quell’ odore di buono che pervade le strade. 
Sono le foglie gialle per terra in Via Veneto. 
Quella scritta “Dolce Vita” in rosso che potrebbe essere benissimo l’insegna di un  circo e invece è messa lì in quella che fu la via di Mastroianni e Fellini.
Roma è il rumore della metro, quel sali e scendi di persone. 


E’ una donna che canta lirica in Via dei Condotti, tra Armani e Jimmi Choo, con un maglione rosa pallido e un lettore cd del ’90. 
Roma è la monetina che lanci nella fontana di Trevi e il desiderio è sempre quello: “voglio tornare al più presto!”. Anche perché pochi altri desideri si avverano così facilmente.
E' lo stupore di uscire da quella via stretta, prima della Fontana di Trevi e vedertela all'improvviso lì davanti, imponente e meravigliosa. E' il rumore dell' acqua che non si ferma mai.
Sono le chiacchiere della gente seduta a Piazza di Spagna e la stanchezza che vedi sugli autobus. 
E’ quell’accento simpatico che ti fa sentire subito a casa anche se casa tua, in effetti, non è. 
Roma è storia che invece di farti sentire piccolo e solo, ti coinvolge e ti fa sentire speciale. 
Sono i passi lenti che si fanno nei vicoli così da guardare i fiori sui davanzali delle finestre e i tavoli fuori dai ristoranti, anche se è Novembre inoltrato.
Sono i negozietti con le maglie “I love Roma” che fanno tanto americanata, ma anche no. 
E’ una sposa che fa le foto in posa davanti una fontana.
Roma sono tutti i turisti che tengono sempre il naso all'insù a guardare quel cielo che è difficile trovare in qualsiasi altro posto.
Roma sono i negozietti piccoli, quell'insieme di oggettini e colori che fanno bene al cuore. 
Roma è la consapevolezza di essere bellissima e incasinata allo stesso tempo. E' una donna che se la tira perché sa di poterlo fare. Ti regala un pezzo di sè per poi farti pensare a quante altre cose ti ha tenuto nascoste. 
Non è mai abbastanza il tempo per viverla davvero, però, ogni volta mi sento sempre un po' più a casa. 
Roma mi fa battere il cuore in un modo che è difficile anche spiegare. E' come sentire di essere nel posto giusto, avere la sensazione che è lì che dovresti stare. Per sempre.
Magari. Un giorno. 


Roma è questo ma anche molto altro. Difficile spiegarla in qualche riga. Ho aggiunto un po' di foto che non sono neanche un granché. Non vogliono essere foto bellissime o professionali. 
E' ancora Roma raccontata in modo diverso che con le parole.


lunedì 19 novembre 2012

Emme su... Bloglovin

Sto scrivendo un post, del tutto inutile, per dire che adesso sono anche su bloglovin.

Follow my blog with Bloglovin

Tipo che adesso, chi vuole, può seguirmi da lì e sarà sempre a conoscenza dei miei aggiornamenti.
Non so chi lo farà. Io, se fossi voi, dubito che lo farei davvero.
Con questa storia del blog ci ho preso gusto (e silenzio tutti perché ho 3 post, ho detto 3, salvati in bozza e pronti per essere pubblicati).
Adesso potete anche lasciarvi andare con un "esticazzi" liberatorio. Esticazzi.
Il fatto che ci sia gente che mi legge mi lascia perplessa e allo stesso tempo inorridita se pensate che nessuno sa della presenza di questo blog (a parte quelle 4 amiche. Che non è un numero a caso: sono 4 veramente).
Però, mi fa piacere.
In sintesi: a me piace scrivere stronzate su questo spazio bianco/rosa/viola dal dubbio gusto, voi mi leggete e ogni tanto commentate, siamo tutti felici.
Quindi, adesso se volete sono anche su Bloglovin.

Emme

sabato 10 novembre 2012

Un sabato sera alcolico e d'incontri


Ho incontrato la mia compagna di classe secchiona delle medie.
Sticazzi, direte voi.
No, invece, ha dell’incredibile. Almeno per me.
Era sabato sera notte e stavo facendo discorsi impegnati sul cinema italiano con un amico. 
Dopo una birra e un sex on the beach cominciate a parlarmi di Sorrentino and friends e.. Gigi Marzullo con tutti i critici cinematografici della domenica notte, su Rai Uno, lèvatevi proprio.
Niente lì, con il cocktail in mano, biascicavo frasi senza un vero senso logico: “Ma sì, Bellocchio sarà Bellocchio ma secondo me anche Ciprì! E vogliamo parlare dei fratelli Taviani? Parliamone!”.
A un certo punto, con la coda dell’occhio vedo passare una ragazza.
Magrina. Capelli neri e faccia cadaverica. 
“Ma io quella la conosco!”, ho pensato. Naturalmente, faccio finta di niente e continuo a ridere di una battuta che non ho capito ma che non ho interesse a capire.
Ma la magrina si avvicina e con fare naturale mi dice “Ooooh Emme! Ma tu qui?”.
A quel punto è tutto più chiaro: la secca la conosco e anche bene dato che ci ho passato 3 anni, quasi seduta accanto.
“Oh! Secca! Ciao! Ma sì, sai ci vivo qui! E tu?”
“Eh, anche io. Faccio poca vita sociale ma sono viva. Che bello vederti!”.
La guardo meglio. Ha sempre la stessa faccia. Uguale. Più magra però, che alle medie aveva i fianchi come la Marini (e non è un complimento!).
“E allora, Secca, ti sei laureata? Ora che fai?”
“No, non mi sono più laureata. Ho lasciato l’università. Ma, ora lavoro”.
Cambio espressione mentre nella mia testa ci sono dei russi che ballano quel ballo che forse è polacco (se non avete capito qual è, non è colpa mia).
La Secca non si è laureata. Risata di sottofondo.
Colei che studiava, alle scuole MEDIE, dalle 15 alle 21 senza interruzione alcuna. Colei che non ha mai preso un voto più basso del 9. 
Quella che s’incazzava perché io prendevo gli stessi suoi voti ma studiando un quarto, frequentando il corso di danza e di recitazione e facendo il triplo di attività.
Colei che diventava verde acido ogni volta che i professori esaltavano il mio essere così brillante. “Emme può fare tutto nella vita” diceva la prof d’italiano, mentre di lei sforzava un “la Secca è brava!”. 
Ha lasciato l’università. Risata di sottofondo.
“Ah! Quindi, niente più laurea. E adesso che fai?”
“Ma niente. Mi sono convertita, lo sapevi?” 
“Convertita?” (Emme comincia a sentire l’effetto dell’acool)
“Nomediunareligioneavostropiacere. Poi, ho lasciato l’università perché voglio andare a servire il Signore in Africa. Voglio fare la missionaria.” 
(Emme trattiene ogni battuta oscena, idiota e fuoriluogo che il suo stato alcolico le suggerisce.)
“Bello. La missionaria in Africa. Bello. Bello”.
A quel punto avevo finito le parole. Non perché non apprezzi la scelta, che anzi condivido e ammiro, ma ricordo una Secca diversa.
Perché la Secca è quella che non è venuta in gita di terza media, quella attesissima da tutti noi come fosse la prima fuga da Alcatraz,  perché non poteva stare lontana di casa per 6 giorni. Va bene, eravamo alle medie ma negli anni non era molto migliorata. 
Al liceo non usciva di casa quando non aveva niente di nuovo da mettere, tipo che ti dava un appuntamento e quando non arrivava sapevi già che non aveva trovato, nel suo armadio fornitissimo, nulla che le piacesse. 
La gente si sveglia una mattina, si converte e decide di andare in Africa. Ok.
“E quando parti, Secca?” 
“Penso presto”.
“Bello. Non sai quanto mi piacerebbe!”.
A quel punto mi guarda in un modo che al solo pensarci mi fa venire i brividi anche adesso che lo scrivo. 
Tipo quelle santine inquietanti che ogni tanto si porta dietro mia nonna. Quelle che ti guardano con quello sguardo buono, buono e tu pensi “che vuoi da me, eh?”.
“Lo so, Emme. Ho sempre pensato che avresti fatto una scelta del genere prima o poi. E’ proprio da te!”.
Da me?! Da me che, fino all’ultima volta che mi hai visto, mettevano un “principessa” prima del nome? 
Da lì mi sono convinta che in qualche modo ha “sentito” il mio cambiamento. E da lì ho capito che dovevo smetterla di bere per quella sera.
Alla fine mi ha lasciato il numero. Mi ha detto di tenerci in contatto.
Anche per l’ Africa. Soprattutto per quella.
Ero tutta contenta, anche se era finito il Sex on the Beach. 
Ci siamo salutate pensando che, magari, in futuro ci vedremo in Africa o chissà in quale parte del mondo.
Quando se n’è andata, ho preso il telefono per salvare il numero.
Un secondo dopo, l’idillio era finito. “Merda, invece di salvare, ho cliccato su elimina numero”.
Addio Secca. Addio Africa. 
“Addio monti sorgenti dall’ acque, cime ineguali..”
Addio.

mercoledì 31 ottobre 2012

Ma davvero mancano 54 giorni a Natale?


Qualcuno, oggi, mi ha ricordato che mancano 54 giorni a Natale. 
D’un tratto ho sentito quella musichina che di solito si sente nei film horror quando la povera vittima si rende conto di essere sola, con il telefono fuori uso e il tipo mascherato e con una motosega in azione al piano di sotto. 
Ta-ta-ta-tà.
“Solo 54?”, ho pensato.
E subito pensieri tristi e da sociofobica hanno affollato la mia mente. 
"Ma che davvero?". 
54 giorni e ci risiamo: i pranzi, le cene, la briscola in 5 e quella con il morto, i parenti, le zie anziane che ti vedono una volta all’anno e hanno uscite simpatiche come “E il fidanzato? Eh, eh? Dov’è? Dove l’hai lasciato?” 
[Piccolo flashback di qualche mese fa: “Emme, e dov’è il fidanzato?”
“Quale fidanzato, zia?”
“Ah, perché ne hai più di uno?”
“No, però.. ci siamo lasciati da tempo, ormai”
“Ah, peccato. Era anche un bel ragazzo” sguardotristedicompassione rivolto verso di me che sorridevo come un’ebete(grazie zia 80enne che pensi che sono un cesso e non ne troverò mai uno uguale!). /piccolo flashback off]
o “Ti vedo più rotondetta. Brava, brava! E come mai? Tu che sei sempre stata magra?” (ma vaffanculo stronza dimmerda. Anche io ti trovo con più capelli bianchi e con meno denti ma non per questo ne faccio una ragione di stato. Ok?).
54 giorni per riprendere la stronzata del “siamo tutti più buoni”, che mi verrebbe da dire: “perché proprio a Natale, perché SOLO a Natale?”. 
54 giorni (o anche molto meno!) per ritrovare i negozi tutti addobbati e che hanno come sottofondo e in loop canzoncine idiote tipo: “All I want for Christmas iiiiisss youuu” che a me ogni volta mi vengono in mente queste vestite da Babbe Natali. Tutte seeecsissime. Con le gonne ultra corte. Ma nessuno gliel’ha spiegato che è “a Natale siamo tutte più buone” e non più bone?
Che poi, più un bone un cazzo. 
54 giorni per ricominciare a contare le calorie e i kg che aumentano. Perché scusa, vuoi rinunciare al cioccolato, al pandoro con la crema al mascarpone, ai cannelloni e ai torroncini? 
Presa dal panico per tutto ciò, ho anche ricordato un tempo antico in cui il Natale mi piaceva. MI PIACEVA!!
Canticchiavo beatamente “Tu scendi dalle stelle” e ci tenevo a comprare un vestito nuovo per la notte della vigilia. Guardavo l’albero con tutti i regali sotto e il cuore si riempiva di gioia. Adoravo quell’odore tipico di quei giorni di festa che si sentiva per casa, un mix tra la vaniglia delle candele accese e l’odore dei “cardi” fritti della nonna (sembra rivoltante ma era fantastico, giuro!). Ma ero piccola. Anche scema, sì. Non conta. 
Quindi, ho deciso che l’unico modo che avevo per esorcizzare il terrore era scrivere una letterina a Babbo Natale.
Che fa così:

Caro Babbino,
io a te non ci credo e il Natale quasi lo schifo.
Però, sono brava e buona. Ok, ok.. sono un po’ acida e delle volte rispondo in un modo che neanche mia zia quando era zitella. 
Ma ho le attenuanti: sono davvero zitella e ho, ormai, una sociofobia conclamata.
La letterina non te l’ho mai scritta neanche da bambina. A 6 anni volevo “Ciccio mio” che piangeva, rideva e faceva la cacca e ho portato la mamma al negozio per prenotarlo. Sono sempre stata pragmatica. 
Ma quest’anno no! 
Intanto vorrei un fidanzato (no, non è vero. Quello che voglio in realtà lo sai. Ma sono una signorina e certe cose non posso scriverle davvero.)
Per andare più sul materiale, mi piacerebbe la Chanel Classic Flap Bag (ti dovesse sfuggire qual è, eccola:
Caro Babbino, farò la seria per qualche minuto.
Vorrei avere la voglia di studiare perché è ora che io cominci a pensare alla mia laurea oltre che a quella delle amiche.
Mi basterebbe, poi, non sentirmi così fuori posto quando mi troverò di fronte a carrelli della spesa pieni di ogni cosa, alberi di Natale riempiti da regali inutili, sorrisi falsi e ipocriti sui volti della gente. 
Mi basterebbe sapere che tutti stanno più o meno bene, che si affronta la vita con ottimismo nonostante tutti i “problemi” che si pongono di fronte a noi. 
Mi accontento di volermi bene davvero. A Natale e anche dopo. 
Poi, certo, se la Chanel e le Louboutin, lì al Polo Nord, ti avanzano, io le prendo con immensa gioia. E poi dico a tutti che esisti davvero. E che il Natale è bello. 
E magari, mi passa anche quest’ansia pre festività. Perché, se non si fosse capito, ho scritto tutto questo solo perché 54 giorni sono pochi e io non ce la posso fare.
Babbino, un’ultima cosa, dovesse finire il mondo giorno 21, come ci hanno “detto” i cugini Maya, ricorda che io ti ho sempre voluto bene.

mercoledì 10 ottobre 2012

Lettera a G.


Lo squillo di un telefono e il corso di una vita che cambia. 
Lei dice a lui di sedersi ma di non preoccuparsi. In realtà, gli vorrebbe dire di stringerla forte e aiutarla a fare uscire le parole giuste perché in quel momento tutte quelle che pensa sono troppo dolorose, banali o stupide.
Lui la guarda fiducioso. Non sa, non può sapere. Poi è tutta una corsa contro il tempo, una corsa anche contro la razionalità e contro se stessi.
Lui dice che non è possibile, “si saranno sbagliati”, lei piange in silenzio perché anche il rumore di un singhiozzo in questo momento potrebbe disturbare.
E’ un silenzio che ti entra dentro, irreale e assurdo. E’ un silenzio che contiene tutta la rabbia e tutte le parole che girano confuse nelle loro teste.
Un orologio si è fermato, qualcuno ha urlato, qualcun’ altro cammina avanti e indietro come un padre in sala d’ aspetto, solo che nessuno sta nascendo.
E’ venerdì e fuori fa freddo. Lunedì inizia l’università e una nuova vita. Stipati in un angolo ci sono i quaderni, le penne e un porta penne a forma di rana. Acquisti felici di un pomeriggio senza pretese che adesso non hanno più alcun significato. 
Lei abbraccia perché sembra essere la valvola di sfogo di tutti, anche di chi non le parla da mesi. Non è ora della rabbia e neanche di vecchie questioni irrisolti. E’ ora di stringersi forte.
Lui ha lo sguardo perso nel vuoto come quei bambolotti di porcellana che un po’ spaventano. Una frase in bocca come una nenia antica: “Non ci entra, non ci entra. E’ troppo stretto, è troppo stretto”.
Nessuno da’ peso alle parole, nessuno ci pensa in questo momento. 
L’ aria è secca, pesante. Manca il respiro. Lei ogni tanto si siede lontana e sola, osserva quella strana compagnia che forma un semicerchio. 
Lui ha lo sguardo perso, accanto una donna che fa di “no” con la testa, più in là una ragazza che è tornata bambina e si fa cullare dal padre.
Si torna sempre un po’ bambini dopo un grande dolore, no? Perché è più facile scendere a patti con la realtà.
Lei ha la testa che scotta ma nessuna intenzione di andare via da quel posto. Le tempie pulsano e il battito è accelerato ma non è niente in confronto al vuoto che ha nello stomaco e il cuore che ha cambiato sede naturale.
Tutti hanno l’impressione che qualcuno entrerà dalla porta e dirà che è tutto un gioco, uno scherzo di cattivo gusto. E’ solo l’ultima illusione a cui aggrapparsi.
Non succederà niente. Resteranno lì immobili sopraffatti dal destino, dalla rabbia, dalle lacrime e da tutto il resto. 
Lei andrà a dormire con la febbre alta, la pelle bollente e il cuore freddo. Lei continuerà a pensare che è tutto un brutto sogno, che si sveglierà domani senza febbre e con il mondo al suo posto.
Lui, invece, no. Lui ha capito che è tutto vero. Sfogherà la rabbia dando qualche pugno al muro, dirà che è ingiusto, che la vita non è giusta. Ma lo sa di già, Lui, che la vita non è come ce l’aspettiamo, che ci ruba un pezzetto della nostra felicità ogni tanto. 
La differenza tra loro è anche in questo. Lei spera, Lui sa.
Domani sarà un altro giorno. Questo sarà sempre tra i ricordi da rispolverare ogni 10.10.


“Quando hai solo 18 anni, quante cose che non sai! Quando hai solo 18 anni, forse, invece, sai già tutto, non dovresti crescer mai. Se ti scrivo solo adesso è che sono io così, è che arrivo spesso tardi, quando sono già ricordi che hanno preso casa qui. Non è vero ciò che ho detto , qua c’è tutto a dire che ci sei. Fai buon viaggio e poi , poi, riposa se puoi.”

mercoledì 3 ottobre 2012

Di fiabe e illusioni..


Ieri, guardavo mia "nipote" guardare “La Bella e la Bestia”. Rideva di una felicità commovente, mi teneva forte la mano mentre Belle insegnava alla Bestia a mangiare con un cucchiaio.
La guardavo e pensavo che le illusioni iniziano proprio lì. Quando ti dicono che troverai qualcuno e riuscirai a cambiarlo in meglio o quando ti dicono che il principe azzurro alla fine sceglierà te.
Nessuno ci ha mai detto che con molta probabilità, la Bestia dopo la trasformazione si rende conto di essere bello, ricco, potente e con una fila di donzelle dietro il castello. Nessuno si è mai premurato di farci sapere che Belle, nel frattempo, è tornata a casa del padre e che alla fine ha sposato Gastone per la disperazione. 
Le favole sono favole e resteranno sempre tali. Capita che il principe non sia così principe,  che veda e senta più principesse contemporaneamente, che alla fine scelga la strega cattiva o che semplicemente s’innamori di un’altra principessa che non sei tu.
Noi, però, alle favole vogliamo continuare a crederci. Siamo ostinate in questo. Viviamo nell’illusione che alcune attenzioni siano rivolte solo a noi: gli sguardi, le frasi carine, le piccole cose che sembrano tutto.
Poi, ci distraiamo un attimo e lui è lì, a fare le stesse cose con chissà quante altre.
Per carineria? Per educazione? Perché sono così e basta?
Comincio a pensare che loro, gli uomini, poverini non lo facciano neanche con intenzione. Dicono le cose senza sapere che tipo di reazioni esagerate avremo noi, appassionate di fiabe moderne.
Che ne so, magari, dicono un “noi” e lo buttano lì proprio perché nella frase suona bene o perché, semplicemente, è più veloce di un “io e tu”. E noi, che facciamo? Ma, naturalmente, il conclave delle amiche. 
Tipo: “Ha detto noi! Ha detto noi! Pensi, che il prossimo passo è il matrimonio?”.
No, seriamente. Avevo iniziato il post pensando di scrivere il peggio sugli uomini ma più ci penso e più credo che quelle sbagliate siano le donne.
Siamo noi le complicate, bravissime a costruire film sulle frasi, esperte a vedere cose che nella realtà neanche esistono.
Siamo noi il problema o quelli che ci hanno detto che la vita finisce sempre con un “e vissero felici e contenti”.
Niente arriva dal cielo e per grazia ricevuta. Al massimo dobbiamo lottare per averla. Non esiste il principe che ci trova svenute, con una mela accanto,  ci bacia e ci sposa (senza neanche sapere il nostro nome, tra l’altro!). 
Nelle mie favole, Biancaneve è scappata di notte dalla casa dei nani e si è fatta una nuova vita, Cenerentola s’è incazzata con la matrigna e un bel giorno le ha fatto trovare la valigia davanti la porta sventolandole davanti la faccia un bell’atto di proprietà con il suo nome sopra e Ariel ha preferito restare sirena per tutta la vita piuttosto che rinunciare alla sua voce.
I principi vengono dopo. 
Oppure non arrivano affatto: e nelle mie fiabe di oggi, nessuno piange lacrime salate per questo.


L'immagine è presa da qui: http://amymebberson.tumblr.com/ (le sue mini principesse sono bellissime, oltre che esilaranti. Ve le (stra)consiglio!).

venerdì 21 settembre 2012

La bellezza del sud vista con gli occhi del nord!

In questi giorni sto riscoprendo la bellezza della mia terra.
Tutto grazie a degli amici in vacanza. Strano, no?
La guardo come se fosse la prima volta e lei si da' a me come quei regali che aspetti tanto ad aprire e quando li scarti ti sembrano più belli di come li immaginavi.
La mia è una terra che, suo malgrado, un po' si nasconde. Però, ti sorprende con delle giornate di cielo limpido e azzurro, con il sole che ti sbatte sul viso e le montagne che diventano d'un tratto più verdi. 
Oppure, ti stupisce con un tramonto sul violetto che, in lontananza, i contorni delle case sembrano disegnati con il gessetto. 
E niente, sono giorni che respiro e odoro e vivo come una perfetta turista. Di quelle che si volta a guardare un vicolo e pensa "oooh, che meraviglia!" (mentre la parte ancora in sè, urla: "Ma deficiente, ci vivi eh! Ed è inutile che fai tutta la meravigliata che da lì ci passi 20 volte al giorno!).
E naturalmente, sto anche mangiando. Ma tanto!
Perché anche se vivo d'insalata, scatolette di tonno sott'olio e cibo degno del mc donald's appena sono arrivati gli amici nordici abbiamo tirato fuori tutto ciò che c'è di più buono della nostra tradizione culinaria. 
Cose che io mangio una volta l'anno. Cose che, di solito, sempre, mangio solo se le ha fatte mia nonna o una mia zia anziana. 
E allora, un po', ho cercato anche di far capire agli amici che certe cose non puoi mangiarle ovunque, che alcuni bar io li eviterei come la peste, che "Oh, ma veramente avete mangiato in quel posto lì? Cioè mi giro un secondo e voi andate nel posto peggiore di tutti?". E loro, i nordici, sono sempre contenti. Tutto è buonissimo, tutto è bellissimo. 
Li porti al supermercato più sfigato di tutti, con vista discarica (quasi!) e loro "maaa che beeellooo!", e tu resti immobile e incapace di capire se ti stanno prendendo per il culo o se sono seri. 
E la cosa davvero triste è che sono seri! Ricordatemi di non andare mai nelle loro zone, si sa mai.
Comunque, mentre riscopri le bellezze ecc ecc, ti rendi conto quanto gli stereotipi siano presenti in maniera quasi insopportabile.
Per esempio, uno voleva vedere "una processione, con le statue che passano dai vicoli stretti", che io a fine settembre dove te la trovo? Neanche nel paesino più remoto e inculato. 
L'altro, invece, vuole conoscere un po' di nonnine vestite di nero, con i baffi e con il rosario sempre in mano. Che un po' ridi quando pensi 'ste cose ma poi anche no. Che la madredipadre è più sveglia di me anche se c'ha quasi 80 anni, si veste colorata più di me e ha un giro di amiche che farebbe invidia a una sedicenne. Per dire.
E allora, anche se non vorrei, devo dare ragione a "qualcuno" che diceva che alcune fiction fanno male. 
Quelle che hanno come interpreti l' Arcuri e Garko fanno male ancora di più, naturalmente. 

p.s. Forse, però, sono anche loro che non sono proprio portati a scindere le fiction dalla realtà. Uno era convinto che per parlare in dialetto bastava togliere l'ultima vocale delle parole perché "l'ho sentito a Benvenuti al Sud". 
Come se io andassi a Roma e pensassi di trovare tutte le persone in stile Cesaroni con 5/6/10 figli e storie strane di promiscuità. 

venerdì 14 settembre 2012

Il significato delle parole

Ho riflettuto a lungo su cosa scrivere questa volta.
Volevo raccontarvi di madredipadre che l'altro giorno mi chiama con la scusa di sentirmi e poi se ne esce con "lo sai che tuocuggino è entrato in medicina?", con la vocina stronza di una che in realtà vorrebbe dirti "e tu quest'anno non hai dato neanche una materia", ma ci ho ripensato.
Poi, avevo pensato di parlare di colui che in teoria è il mio "capo", che però ne sa meno di me e ieri l'altro se ne esce con: "Foto, comunicati, tweet: decido io come, cosa e quando farli "uscire". Senti ma il cancelletto su twitter a che serve?" ma anche lì ho deciso di andare oltre.
C'è una cosa che ho in testa da giorni: l'importanza delle parole. O ancora meglio, l'importanza del significato delle parole.
Mi sono trovata in questi giorni a parlare con diverse persone e alla fine pensare: "che cosa avrà voluto dire? Sarà vero?".
Vorrei essere una che non si lega alle parole come alle persone e invece, ci penso fino allo sfinimento. Prendo quelle parole e me le ripeto, le analizzo, le custodisco, le rompo, le maledico.
Negli anni ho imparato che il significato cambiava anche rispetto alle persone che me le dicevano. Con l'esperienza ho capito che non tutti i "ti amo!" sono riferiti all' idea di amore che ho nella mia testa così come non tutti gli insulti sono detti con l'intento di far male. 
Strano concetto, lo so. 
E' un po' il discorso del post precedente: un mondo dove i "ti adoro" si sprecano e l' emozioni, quelle vere, muoiono. 
Però, c'è quel mondo lì e poi ci sono io che, ancora, ho un tale rispetto dei sentimenti che quasi cerco di entrare in punta di piedi nella vita della gente e provo imbarazzo di fronte alle dichiarazioni d'affetto gratuite (tranne in rari casi, è chiaro!).  Ci sono io che tra un "ti voglio bene" preferisco di gran lunga un "sei davvero cretina!" che qualcuno sostiene sia un mio modo per mettere una barriera tra me e gli altri. E forse, ha ragione. 
E' un modo per non ferirmi, per non passare delle ore a scrivere cose come questa. A una battuta scema dai il significato che ha, niente percorsi mentali strani. 
I complimenti, i "ti adoro", i "ti amo" ti portano sempre a domandarti se la gente da' a queste parole lo stesso peso che gli dai tu. 
E allora, mi dico che, vorrei essere più leggera, una di quelle che si vive le emozioni per quello che sono, che non passa delle ore a fare l'analisi delle frasi che le vengono dette. "Ma se per caso l'ha detto in quel senso? E se in realtà, era un modo per dirmi quell'altra cosa?". 


Dico la verità: sogno un mondo che ha delle parole con un solo significato. Sogno un mondo dove i "ti amo" significano voglio passare tutta la mia vita con te, voglio esserci quando sei felice e quando piangi, voglio vedere il primo capello bianco e accarezzarti quando giochi con il figlio di nostro figlio. Sogno un mondo dove i "ti adoro"  significano  mi piace il tuo sorriso, mi piace quando scleri, mi piaci ancora di più quando mostri tutti i tuoi difetti, mi piaci così tanto che anche stare davanti ad una finestra a guardare la pioggia con te è stupendo. E sogno delle persone che non si vergognano di ciò che dicono, che lo rivendicano, lo difendono dagli attacchi e dagli sbalzi d'umore. Voglio un mondo a cui credere senza analisi grammaticali.


martedì 11 settembre 2012

L'amicizia sui social network?! Ma anche no!

L'amicizia ai tempi dei social network è davvero una strana, stranissima cosa.
E' tutto un "tesoro", "bello/a", "ti voglio bene".
Per non parlare, poi, dei cuori. Comincio a pensare che quella dei cuori sia una malattia. 
Delle volte leggo delle cose che mi lasciano interdetta per interi minuti, con la faccia a punto interrogativo e nella testa una frase che mi ripete spesso la mia amica romana: "ma che daverodavero?!".
Per esempio: "Ciao Francesca! Ti ricordi di me? Non ci vediamo da 12 anni ma mi fa piacere ritrovarti. Cuore, cuore!" (ti sei mai chiesta perché Francesca non ti ha mai cercato, chiamato e visto per 12 anni? Ecco! Allora pensi che il tuo commento le interessi?).
Oppure:  "Luca sono contentissima di averti visto ieri con Maria. Cuore, cuore." (in questi casi vorrei chiamare i Luca&Maria di turno per dir loro che, no, lei non è contentissima. E quello che ha scritto e quanto di più falso potesse dire). 
E potrei continuare all'infinito con esempi sempre peggiori. Ritrovi amiche che si sono dette di tutto alle spalle e poi si mandano tweet di "amore" profondo, gente che quando non ci sei si diverte a dire le cose peggiori su di te e poi ti commenta le foto sottolineando la sua ammirazione nei tuoi confronti.
I social, dopo tutto, altro non sono che un mondo di ostentazioni. Ci teniamo a far vedere che siamo belli, buoni e ammirati. Facciamo sì che tutti vedano quanti meravigliosi "amici" abbiamo. Pubblichiamo affannosamente, facciamo indigestione di commenti spiritosi e amorevoli.  Mandiamo cuori a tutti, anche al vicino di casa rompi balle che fino al secondo prima abbiamo maledetto per aver messo il cd di Gigi D'Alessio.
Solo che dopo un po', dopo tutti gli "amore" e le frasi da film romantico, cosa ci resta? 
Dei mille amici che abbiamo tra facebook, twitter, pinterest, instagram, chi sarebbe disposto a lasciare tutto per un abbraccio, per asciugarci le lacrime o semplicemente per ridere insieme con una birra davanti?
Ecco perché, di solito, le mie amiche sono quelle di sempre e per sempre. 
Ora, capiamoci, non è che io voglia fare la morale a nessuno, anche perché sono la prima a usare i social network e a trovarli anche molto interessanti sotto tanti punti di vista. Però, lasciatemelo dire, i legami veri sono un'altra cosa e sono fuori da lì.
L' amicaGF la conosco da quando le colava il moccio dal naso, si vestiva come un piccolo marine e giocava con i maschi. L'ho vista sbocciare e diventare, appunto, bellissima .
Con lei, in pratica, ho fatto tutto: le scuole, la prima sigaretta, i primi amori, i primi baci. Tutto.
Come lei tante altre: alcune me le porto dietro dalle scuole medie, altre dalle superiori.
So che ci sono quando ho bisogno, come io ci sono per loro, anche se sono amiche "atipiche".
Oggi, per esempio, mi chiama la GF per dirmi che si vede con uno. Mi fa l'identikit con i dettagli.
Io comincio a storcere il naso. 
"Emme, però, sei acidissima. Che palle! Sembri la nostra vecchia prof acida e zitella. Sai cosa vorrei consigliarti, vero?". E lo so benissimo cosa vuole dirmi, rido come una matta, rispondo "magari" e poi ride anche lei.
O come l'altra amica, quella che mi sopporta in h24, che ieri se ne esce così: "Sei come quei sapori acidini all'inizio e dolci alla fine. Agrodolce va'". Che non lo so se è una cosa per cui offendersi ma io la trovo fantastica.
Il fatto di sapere che mi diranno sempre quello che pensano senza mezzi termini, che mi guarderanno e diranno "come cacchio hai accoppiato la maglia verde con quelle scarpe rosse" (se mai lo dovessi fare, chiaramente!) o che sorridendo m' inviteranno a "fare le sopracciglia" mi rende la vita più serena.
Non saranno le amiche perfette dai "cuori, cuori" in bacheca e dai commenti dolci sulle foto, ma non m'importa.
Anzi, vi dico un segreto, ho vietato loro di mandarmi cuori e cose sdolcinate perché a me piacciono di più così.




domenica 9 settembre 2012

Principesse, giochi e vocine che ti salvano la vita!

Da bambina, mentre le amichette di scuola e del corso di danza sognavano di fare rispettivamente le maestre e le ballerine, io sognavo una vita da principessa.
Avevo già deciso tutto: avrei incontrato il principe William nell'adolescenza,  sarei stata alta e bellissima, ci saremmo innamorati follemente e lui alla fine mi avrebbe sposato. In pratica, avevo già deciso il nome dei nostri figli.
Il mio gioco preferito era simulare i pranzi della domenica tra Carlo e Diana, che naturalmente chiamavo per nome. Ah, qualche volta invitavo anche la Schiffer (che sempre nei miei piani futuri era una grande amica di famiglia).
I siparietti con mia zia, che si prestava a questi giochi, erano esilaranti: 
"Emme, ma poi quando sposi il principe, noi possiamo venire?!"
"Zia, io ti inviterei ma non lo so se ti fanno entrare. Poi i soldi per comprarti il vestito bello li hai?".
Lo so, ero un mostro di bambina.
Poi, con gli anni le cose sono cambiate e come è andata lo sappiamo tutti: io non sono alta e bellissima, Diana è morta e il Principe William adesso ha una consorte magra da fare schifo che non sono io.
Dalla bimba che sognava castelli e abiti da sposa modello Sissi, siamo passati alla fase indipendenza: "starò benissimo da sola, farò il magistrato alla procura di Palermo e seguirò le orme di Borsellino." (Se ve lo state chiedendo: no, non ho mai avuto progetti futuri che comprendessero lavori tipo pediatra, infermiera o maestra che vanno di gran moda tra le bambine!).
E mentre le mie amiche avevano i primi approcci con l'amore, cambiando il fidanzato con la stessa frequenza con cui si cambiano le scarpe, io le guardavo da lontano sognando la mia vita da "principessa del foro". Le amiche continuavano a dirmi che sarei stata il primo presidente della Repubblica donna e io un po' ci credevo.
Rifiutavo come la peste tutti quelli che tentavano un approccio e non c'era mai nessuno che m'interessasse davvero.
Una volta un tipo mi regalò un mazzo di rose rosse, io le guardai, sorrisi e le diedi alla mia amica: "Sono tue! Fanne ciò che vuoi!".
In compenso, ero diventata bravissima a evitare gli approcci amorosi. Appena fiutavo qualcosa, cominciavo a dire di essere innamorata di qualcun altro, non bene identificato, o raccontavo storie assurde che m'impedivano di proseguire la storia.
L' amicaGF utilizzava questo mio talento per scaricare anche i suoi ragazzi, cosa che succedeva spessissimo e ogni qual volta incontrava qualcuno che le interessava di più. Le mie scuse erano sempre ben articolate, di fantasia e dette da lei sembravano anche molto credibili.
Ero allergica alle cose pucciose, alle uscite mano nella mano, ai mezzi cuori e agli sms che iniziavano con "buon giorno raggio di sole!" (le poche volte che li ho ricevuti ho riso per giorni e non ho mai più sentito chi li aveva mandati!).
Solo che a un certo punto, allergica per quanto vuoi, uno che ti fa innamorare perdutamente lo trovi lo stesso. Uno con cui sogni matrimonio, figli e vacanze al mare. Che lo guardi negli occhi e pensi che vorresti che tua figlia (a cui hai già scelto nome, sport, hobby e carriera) li avesse uguali. Cominci a guardare le vetrine degli atelier da sposa e sogni il giorno in cui entrerai con tua madre e la testimone di nozze in lacrime. Immagini il giorno in cui tornerà stanco da lavoro e  gli farai trovare un ciuccio vicino al piatto della cena, te lo vedi in lacrime il giorno del parto. Lo sogni mentre insegna a figlio1 a sciare e a figlia2 a nuotare. E cose così.
E magari ci stai degli anni e vedi tutti i tuoi progetti andare in soffitta. Procuratore a Palermo? "Ma no, figuriamoci. Al massimo lavorerò in un ufficio e part-time, così lui fa carriera e io sto con i figli" (che non avete ancora, eh!). Le orme di Borsellino? "Ma chi, io? Naaa, meglio imparare a fare la pasta al forno e la crostata alla crema". A poco, a poco metti da parte te stessa per far spazio a qualcuno che non sei tu.
Un giorno, però, ti svegli e c'è nella tua testa una vocina che urla. "Volevi viaggiare, volevi fare grandi cose non le lasagne, volevi essere il presidente della repubblica non un'impiegata part-time. Come ci sei arrivata a questo punto?". Il più delle volte quando capita è già troppo tardi. Io, invece, ho avuto la fortuna di sentire la vocina ancora giovane e piena di belle speranze.
E questo è quello che succede dopo: Emme che voleva fare la principessa e poi ci ha ripensato.

"Perché non apri un blog?"


"Perché non apri un blog?" è la frase che mi sono sentita dire più spesso ultimamente dalle amiche che dovevano sorbirsi lunghissime email in cui raccontavo, più o meno ironicamente, la mia vita. La mia risposta era sempre quella "non sono capace e non avrò mai la costanza".
Poi, un paio di pomeriggi fa mi sono detta che avrei potuto provare, che al massimo potevo anche non scrivere nulla o chiuderlo dopo qualche settimana.
E ora eccomi qua con il foglio bianco del primo "post" senza avere la più pallida idea di cosa scrivere, e ciò la dice già lunga sulla durata di questo spazio.
La verità è che sono una che scrive sempre e di getto (il più delle volte per rileggersi dopo mesi o anni per ricordare quanto fosse cretina in quel periodo) e che, soprattutto, non ama farsi leggere.
E, allora, perché stai scrivendo su un blog pubblico? Non lo so!
Mi sono lasciata prendere dall'entusiasmo della novità, dalla felicità che mi è presa pensando a queste pagine piene di parole che parlano di me e di tutto quello che ho attorno. Ed era da tanto, troppo tempo che non avevo questa gran voglia di fare.
"Quando tira un po' di vento che ci si rialza un po' e la vita è un po' più forte del tuo dirle: "grazie, no!". Quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà!".
E con questa in testa comincio quest'avventura.
Perché dopo tutto un po' me lo merito.