lunedì 19 ottobre 2015

Non riesco a scrivere rischio

Dovevo scrivere "rischio" e un paio di volte, senza rendermene conto, ho scritto  "riesco". 
Quando mi sono accorta dell'errore, quando mi sono accorta di pensare "rischio" e di scrivere, automaticamente, "riesco" era praticamente già troppo tardi. 
E mi hanno fatto notare che sarà perché, davvero, io non riesco a rischiare. 

E lì per lì ho riso ma ho come l'impressione che non si stessero sbagliando. 

mercoledì 7 ottobre 2015

Elenco delle mancanze

Mi manca la libertà delle parole. 
Quella libertà di poter dire quello che si vuole, quando si vuole.
Mi manca il sarcasmo, il politicamente scorretto.
Mi mancano i ricordi che qualcuno ti ha regalato e poi si è ripreso con forza come se fossero solo suoi.
Mi manca dargli un bacio per strada, senza pensare a chi ci sta guardando.
Mi mancano le serate da passare seduta per terra, con una Peroni da 66, e qualcuno che parla di cinema.
Mi mancano le passeggiate fino a Piazza Istria, a schiacciare le foglie gialle.
Mi manca la dolcezza di una mano che ti accarezza il collo che non è fuoco e passione, è proprio la tenerezza di sentire che non sei sola. 
Mi mancano le email lunghe.
Mi manca la speranza del tutto andrà bene.
Mi manca scrivere su questo blog senza l'angoscia e il peso dell'ennesimo post che parla di perdite e dolore. 
Mi manca la fiducia.
Mi manca l'odore del cocco.
Mi manca la gelateria a Via Emilia a Reggio Emilia. 
Mi manca la danza. 
Mi manca leggere un bel libro che fa piangere.
Mi manca la piazza con i leoni perché ho una foto e ogni tanto la riguardo e penso che è bella. 
Mi manca tornare a casa un po' ubriachi, finire sul letto a fare l'amore, svegliarsi tardi il giorno dopo.
Mi manca la spensieratezza di qualche anno fa.
Mi manca farmi tante foto come facevo prima quando nessuno (nemmeno io) avrebbe mai pensato di tirare in ballo la vanità o l'egocentrismo estremo. 
E mi mancano le foto soprattutto perché tra qualche anno vorrò ricordarmi com'ero, cosa facevo, con chi stavo e non avrò più memoria e neanche le foto mi verrano in soccorso. 
Mi manca la passione che mettevo in tutto quello che facevo.
Mi mancano le persone che sanno ancora scrivere "mi manchi" e non quel generico e poco specifico "manchi". 
Mi manca la gente che non si lascia trascinare dal vento come le bandierine.
Mi mancano così tante cose che poi anche un aereo diventa la cosa più vicina a un'idea di felicità. 

sabato 1 agosto 2015

Ci sono giorni in cui penso che non è vero, che tutto questo dolore non l'abbiamo mai provato, che tu sei ancora con noi.
Invece, l'altro giorno, mentre mi accompagnavano a casa ed era notte profonda, ho realizzato che non ci sei più.
Come quando pensi a qualcosa e d'un tratto, nel momento più inaspettato, scopri la verità. 
Una verità che ti lacera dentro, qualcosa di così doloroso che vorresti strapparti la testa dal collo.
Ed è strano perché tutti i pianti, le veglie funebri, il tuo corpo senza vita non mi erano bastati.
Ho nutrito il sospetto che prima o poi ti avrei rivisto rientrare in casa con i jeans troppo bassi e una maglia colorata.
Ho nutrito la speranza che ci avresti detto che siamo delle "zanne", dopo l'ennesima uscita. 
Ho immaginato che saresti stato felice di vederci così tutti insieme, a mangiare una pizza e a ridere delle cose incredibili che solo nella nostra famiglia possono accadere. 
Eri troppo giovane per morire. Dovevi ancora vedermi laureare, finalmente come volevi tu a Roma. Dovevi esserci il primo giorno di lavoro di tua figlia. Dovevi usare gli occhiali da sole  nuovi quando eri a mare, comprare l'anguria per tutti, giocare per terra con le costruzioni dei tuoi nipoti. 
Dovevi ancora vedere tanti film, mangiare tutte quelle pietanze che cucinano le tue sorelle, arrabbiarti con noi perché non studiamo abbastanza, commuoverti perché, sì, siamo tutti un po' cretini ma ci vogliamo troppo bene.
Quelli che credono nella vita dopo la morte, io, li ammiro molto.
A me, invece, io, ho la sensazione che dopo la morte ci sia solo la morte e più ci penso e meno riesco a convincermi che, prima o poi, avrò reazioni più serene nei confronti di chi lascia questa terra.
Adesso che non ci sei più mi sembra di aver perso un po' di punti cardine.
Non so più quanto è alta la gente, che prima si divideva tra quella alta quanto te e quella più bassa di te - più alta di te, mai, era impossibile.
Adesso mi sento un po' persa, pietrificata dalla paura che una malattia qualsiasi se ne porti via un altro. 
E forse è che quando se ne va un pilastro è poi troppo difficile tenere tutto in equilibrio.
 

lunedì 4 maggio 2015

Ci pensi mai a nostro figlio?


Ci pensi mai a nostro figlio?
No, non fare quella faccia. Non sono impazzita, non del tutto. 
Ci pensi mai?
Alla faccia che avrebbe, alle sue mani, alla bocca, al colore dei capelli. 

Io lo immagino maschio e con il tuo naso. Però con il mio broncio. 
Se viene arrabbiato come me poi ci parli tu, poi ti direi tuo figlio ha fatto questo, tuo figlio ha fatto quello, e solo perché saprei che è troppo uguale a me.
Non voglio avere figli, non adesso, non tra un anno ma neanche fra cinque. Sono brava con i bambini degli altri, soprattutto con le femmine, ma non so se sarò mai pronta alle rinunce, all'abnegazione per un esserino minuscolo che ti crede infallibile.
Eppure quando la mattina mi sveglio e tu sei lì, accanto, che ancora dormi, penso sempre a nostro figlio.
A dove crescerà, ad esempio. 
Perché Roma proprio mai che potrei morire d'ansia nei suoi primi 13 anni di vita.
E io, invece, m'immagino con l'Inglesina al parco a prendere il sole e poi in una strada di campagna a insegnargli ad andare in bici.
Chissà quanti libri gli leggerei la sera e quante canzoni canticchierei per farlo addormentare. 
Vorrei che fosse ironico come te e risoluto ma anche un pizzico creativo ed emotivo. 
Vorrei, soprattutto, avere il coraggio di accompagnarlo sempre nel suo percorso senza forzarlo mai, senza imporgli mai i miei punti di vista, senza tracciargli una strada.
Ecco, quello che vorrei davvero per nostro figlio è la libertà. 
La libertà di essere sempre chi vuole, di essere felice, di poter provare tutte le emozioni che sente senza vergognarsi mai. 
La libertà di poter vivere un amore sbagliato, come il nostro, e di non avere tutti i dubbi che abbiamo noi, di non doverlo nascondere mai.
In fondo, che senso ha guardarti dormire, non chiudere occhio neanche per mezz'ora, guardare il sole spuntare, accompagnarti al treno e vederti partire?
Che senso ha continuare pur sapendo che, il nostro, è un rapporto a tempo.
Lo senti il ticchettio dell'orologio? 
Il brutto di leggere molto, scrivere ancora di più, guardare tanti film è che finisci per sceneggiare anche la tua vita.
Ho già scritto la scena in cui, un giorno, vieni da me e mi dici che ti sposi o che fai un figlio o che parti per qualche paese lontano di cui non ricorderei mai il nome per intero. Tipo il Turkmenistan, che ho dovuto googlare per essere certa della sua esistenza e che, comunque, non saprei collocare sul mappamondo. 
Magari tu in Turkmenistan e io di nuovo in Sicilia così un figlio non lo facciamo di sicuro e tu puoi tornare a respirare.
Eppure sarebbe bello con il tuo naso e i tuoi capelli e, forse, anche le tue spalle. Eppure mi pare un peccato sprecare tutto questo amore, gli abbracci, i baci, le carezze, le risate, gli attacchi di panico, i pianti, i messaggi, le spunte blu di whatsapp, l'abbonamento premium a spotify, la pasta al pesto di pistacchio, il mio spazzolino nel tuo bagno, il Syrah, le serie tv in inglese, i film lasciati a metà. 
Vorrei andare a Dublino quest'estate, tu a Berlino.
Magari ci incontriamo a metà strada ma, nel frattempo, dimmi: ci pensi mai a nostro figlio? 


martedì 28 aprile 2015

Mentre tu sei vivo

A un certo punto il telefono ha vibrato e io l'ho fissato per un paio di minuti, perché ho un esame tra poco, perché non so un cazzo, perché non ho tempo di parlare a telefono.
Poi, invece, ho risposto.
Dall'altra parte una voce diversa, affannata, che dice le cose tutte insieme senza respirare.
Ma di cosa stai parlando, dico io, ma io non ne sapevo niente.
Sei vivo, dicono. 
E lo dicono come fosse la più grossa grazia del cielo, come se dovessi ringraziare qualche dio per questo.
A me invece viene solo da piangere.
Mi metto per terra e mi manca l'aria.
Penso a quanto costerebbe un volo se andassi adesso a Fiumicino.
Penso a quanti giorni potrei impiegare per fare 1000 km a piedi.
Che in fondo, consumerei molte suole di scarpe se sapessi che serve a qualcosa.
Potrei anche imparare a nuotare che chissà quante volte ci hai provato ad insegnarcelo e ci tenevi sotto la pancia mentre facevamo il morto, che si chiamava ancora fare il morto e non come ora che ai bambini si dice "fare la stellina", così non s'impressionano.
Ci tenevi da sotto la pancia e poi, a un certo punto, toglievi la mano e noi dovevamo imparare a fidarci di noi e non più di te. Dovevamo respirare e galleggiare. La cosa più facile del mondo.
Non sto respirando da qualche minuto, mi devo ricordare di farlo ogni tanto perché mi accorgo di essere in apnea. 
Eppure sei vivo e anche io sono viva ma non siamo vivi uguali.
E odio questa casa così distante e mi detesto perché non riesco a parlare con nessuno di te, del casino che ho in testa.
Chissà quando è successo che mi hanno convinto del fatto che raccontarsi è una debolezza e che, soprattutto, mostrarsi fragili è solo una vanità inutile.
Quando le ragazze tornano a casa, mi trovano con gli occhi rossi, la faccia sbattuta e io continuo a dire che va tutto bene, ho solo sonno da recuperare.
Va tutto bene. Respiro. E anche tu respiri.
Poi, m'immagino un giorno che entri in casa e dici "a sgrinfia unni è" e io magari rido o magari ti dico che ci stai facendo piangere tutti da mesi e ti faccio promettere che non lo farai mai più. Che il tuo corpo non ti sarà mai più nemico.
Promettimelo e io imparo a nuotare, davvero.

domenica 5 aprile 2015

Di questi cazzo di anni zero

Cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. 
E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi che mi mancano praticamente tutti i pavimenti. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. 
E sarei sempre sugli eurostar e sulle frecce rosse a sfogliare riviste, per venirti incontro. Stammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore di macchina o trenta euro di treno.
Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando anche male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer. 

Vasco Brondi
Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero.

lunedì 16 marzo 2015

Codice 1


C'era il sole l'altro pomeriggio a Roma.
E no, non sta diventando un blog sul meteo. O forse sì. 
C'era il sole e mi sono sentita libera di non fare nulla se non guardare i bambini che giocano a pallone, si strappano i pantaloni, s'insultano.
Mi sono sentita libera di sdraiarmi al sole, con la musica nelle orecchie, e i cani che mi correvano vicini.
C'è che in questo periodo mi voglio bene. Davvero.
Fanculo a quello che devo e che non devo fare, a quello che posso e non posso dire, agli obblighi verso terzi, agli inchini e alle giravolte per fare bella figura.
C'è che sì, porca troia sì, mi voglio bene come una che si è annientata e costruita da sola, come una che ha pianto mille volte senza chiedere aiuto, come una che la notte non ha dormito mai mai mai. 
Dormo, adesso dormo. 
Verso l'una, o al massimo le due, mi metto a letto e dopo la buonanotte so che posso dormire almeno fino a quando la luce non farà capolino nella stanza. Che è sempre troppo presto.

Mi ascolto molto e ho imparato che c'è una differenza enorme tra il volersi bene e l'essere egoisti e che, soprattutto, prendersi cura di se stessi non vuol dire essere presi di sé.
Mi voglio bene anche se non mi concedo mai, anche se non riesco mai a dire grazie senza abbassare gli occhi a terra, anche se non riesco a farmi abbracciare senza morire di imbarazzo.
Sono così, «una di quelle che si fa la sua vita mentre tu ti fai la tua.», dicono.
Poco fisica, dicono. 

Non esco mai il sabato. Per scelta. Cerco di evitare feste, discoteche, aperitivi, prendiamociunabirraincentro. Perché che ne sapete voi di quanto mi piaccia molto di più fare una doccia, mettere qualcosa di comodo, bere un tè e guardare un film. 

Passo molte tempo da sola e in silenzio a coltivare pensieri. A mettere le doppie spunte agli obiettivi che mi sono data. Pure se irraggiungibili. 

È questione di guardare tutto quello che ti succede, tutto, dalla giusta prospettiva. A dare delle priorità. A darsi delle grosse pacche sulle spalle quando inizia lo scoramento. 

Le malattie. Google. La misericordina della signora bionda. Le parole scientifiche che non capisco. I termini medici che sto imparando. Quelli che fanno le vittime. La gente negativa. Le torte che vorrei imparare a fare. Il panico che mi viene certe sere. Le persone che non riesco a guardare negli occhi. Il raffreddore che non passa da Dicembre. Tutti quelli che non posso vedere finché non passa il raffreddore. Ogni settimana dalla dodicesima a oggi. 

La tua voce al telefono. 

Il mio posto nel mondo. 

È tutta una questione di darsi un codice d'importanza. 
E io al primo posto, pure prima delle ricerche di Google che non mi renderanno più utile alla causa, ho messo la mia, la nostra, serenità.

lunedì 2 marzo 2015

A proposito di sfumature


«Hai appena detto, davanti a me, che non vedi l'ora di andare a trovarli. Con me non lo fai mai.»
«Ma, figurati. Cose che si dicono, tanto per dirsi. Per tenerli buoni per un po'.»
«Tieni buona anche me, allora. »
«Se io dicessi così e poi non riuscissi a vederti, per un motivo o per un altro, il giorno dopo non chiameresti e se provassi a chiedere spiegazioni mi diresti che sono il solito a cui non frega mai un cazzo. E poi minacceresti di non volermi vedere per il resto dei miei giorni. »
«Mi stai dicendo che sono melodrammatica? »
«Ti sto dicendo che non ti regoli, che vuoi tutto o niente. Che vivi la tua vita come un'equilibrista su un filo e non riesci a vedere le sfumature»
«No, le ho viste.»
«Cosa? »
«Le sfumature, dico. Le ho viste, in streaming. Mi sono pure addormentata. Dovevo farlo perché un mio professore delle medie diceva che se vuoi essere uno di cultura devi sempre sapere parlare di tutto. Quindi guardo il calcio, vedo le sfumature e ascolto Fedez. »
«L'ultima cosa che hai detto posso far finta di non averla sentita?»
«Se vuoi. C'è pure di peggio, in verità. »
«Adesso mi dici che hai votato anche per Il Volo e a quel punto sono io che non voglio più vederti.»

giovedì 12 febbraio 2015

Ammenzu o' mari


Su un pozzu iri avanti, 
un mi mannati arreri.
Lassatimi muriri  ammenzu o' mari. 

(Se non posso andare avanti, 
non mi mandate indietro.
Lasciatemi morire in mezzo al mare.)

Oggi piangiamo lacrime amare. 
Come se quei morti fossero parenti nostri, figli nostri, amici nostri.
La mia Sicilia è una terra, e sempre lo è stata, di approdo, di accoglienza.
La mia Sicilia ti aspetta a braccia aperte come solo una madre sa fare, ti culla con le sue ninna nanne dolcissime, ti nutre d'amore, ti conforta e t'inebria con l'odore delle zagare e dei limoni.
E fosse stato per noi, se solo ne avessimo le capacità, avremmo fatto una catena lunghissima e li avremmo portati tutti in salvo. E arrivati in spiaggia, ci saremmo stretti in un unico abbraccio per piangere insieme e per sperare.
Ma non siamo arrivati in tempo e neanche le nostre mani sarebbero bastate e servite per non sentire il peso di questa tragedia sul cuore.
Quindi, oggi piangiamo perché non possiamo fare altro.



È che io, questa cosa, l'avevo scritta il 3 ottobre del 2013 e non l'avevo mai pubblicata perché mi piangeva il cuore e pensavo: mai più.
Ma mai più è diventato ancora e, davvero, non so come facciano alcuni a portarsi un peso così grande sulla coscienza. Davvero, non lo so.




mercoledì 4 febbraio 2015

Quando piove/2

Ieri, sono uscita di nuovo senza ombrello che non è senso di ribellione al clima ma solo biondezza ben nascosta da una folta chioma di capelli neri.

Mentre camminavamo vicino Porta Pia, Valerio, che è grande spunto per questo luogo di cose che succedono (a me, per lo più), ha detto:
fosse per me, quando piove, starei tutto il tempo in giro.
Roma è bella sotto la pioggia e te la godi di più. 

Poi ha aggiunto: anche perché, quando piove, non ci sono tutti quelli con le pettorine colorate che ti fermano per renderti partecipe della battaglia che stanno combattendo.

Allora, un po' ridevo e un po' cercavo di stare sotto al suo ombrello che era piccolo e per due non bastava.
Che comunque, alla fine, quelli con la pettorina colorata c'erano ugualmente e io ho capito che se ti vuoi godere Roma quando piove, è meglio comprare ombrelli più grandi.

lunedì 2 febbraio 2015

Quando piove


Ieri sera pioveva e avevo lasciato l'ombrello a casa. Avevo queste scarpe nuove che ho comprato solo perché Rita continuava a dire che sono bellissime ma hanno i tacchi che fanno un rumore insopportabile.
Stavo correndo dai ragazzi che mi aspettavano per cenare, ma poi ho fatto tardissimo e io mangiavo il club sandwich e loro il tiramisù.
Insomma, pioveva.
C'era questa bambina con un ombrello rosso che stava parlando con un'amichetta e ha detto a me mi viene sempre da cantare quando piove, il problema è che non so mai che canzone cantare.
Proprio così: a me mi viene sempre da cantare quando piove.
E mi ha fatto pensare che, invece, a me quando piove mi viene da stare davanti una finestra a guardare che piove e a fare i cuori sui vetri.
Mi viene da bere cioccolata calda sopra il letto. Magari pure con le parigine sopra le ginocchia che fa un sacco pinterest.
E quando piove e non ci sei, non è che abbia molto senso stare davanti una finestra a disegnare cuori o sopra un letto a bere cioccolata.

T'ho scritto: sono a San Pietro, c'è ancora l'albero di Natale e piove.
Tu guardavi la partita e chi ti disturba mentre sei lì che t'infervori perché pareggiano.

Mi scrivi: quando torni a casa?
Non mi chiedi nemmeno con chi sono, come si chiamano, come li conosco, perché mi vengono a prendere da casa e mi ci riportano e aspettano che io apra la seconda porta prima di rimettere in moto.
Non ho capito se è riservatezza o un modo per evitare che anche io faccia domande.
Perché, io, invece, lo vorrei sapere se c'è qualcuno che accompagni a casa e che aspetti mentre cerca le chiavi dentro la borsa.

Tanto a voi lo insegnano a scuola di calcio a dribblare anche le domande scomode a cui non volete dare risposta.
Però, mica lo so se hai mai fatto scuola di calcio. É una di quelle cose che dovrei chiederti.
Di che cosa abbiamo parlato per tutto questo tempo che ormai supera di gran lunga i 365 giorni?

Questo fine settimana che è il nostro fine settimana, mentre mi cucini qualcosa di decente, magari te lo chiedo.
E speriamo che piova, così magari a me viene da cantare* e poi guardiamo le partite insieme sorseggiando cioccolata.


*e magari canto questa qui che tanto la canto ogni volta che ti dormo vicina.

P.s. Mi faccio venire la glicemia alta da sola. Ma, insomma, mi passa. 

giovedì 29 gennaio 2015

Francesco


L'altro giorno eravamo sul treno. In ritardo.
Francesco seduto di fronte a me, il pupazzo di Francesco seduto accanto a Francesco, la mamma di Francesco posto finestrino.
Francesco ha gli occhi grandi, una fossetta sul mento, e le guance rosse rosse.
Parlavo con la mamma di Francesco e avrò detto "da quando sto a Roma" che è una cosa che dico spesso da quando sto a Roma.
Francesco che era seduto di fronte a me e accanto al suo pupazzo, mi ha guardata strana e ha detto: Maaaa, con la A allungata, maaaa tu sei andata a Roma?
E io ho risposto che sì, certo, sei stato pure a casa mia a Roma, non te lo ricordi più?
Francesco, con gli occhi ancora più grandi e la fronte corrucciata: maaaa chi va a Roma non perde la poltrona?
Allora, io e la mamma di Francesco abbiamo iniziato a ridere e non riuscivamo più a fermarci ma lui continuava a guardarci con gli occhi grandi, la fossetta sul mento, e le guance rosse rosse.
Scusate, che ridete? Si dice: chi viene a Roma perde la poltrona!

E ieri sera, che Valerio mi stava facendo guardare un film democraticamente scelto da lui, ci pensavo e sono arrivata alla conclusione che forse non ho perso nessuna poltrona solo perché non ne ho comprata mai una.




Sai, per la prima volta  ho scoperto una cosa nuova da quando vado giù, una cosa molto dolorosa.
Ho capito che quel paese non c'entrava più niente con me e né io con lui, con gli amici di una volta.
Il vero dramma dell'emigrato, lo sai qual è? Che gli manca la terra sotto ai piedi, se ne torna al paese e crede di stare bene.  
Non è vero niente. 
E allora, se ne torna in città e lì soffre di nostalgia.
-  Tre Fratelli. 
Francesco Rosi -

venerdì 16 gennaio 2015


E poi, nella vita, vorrei fare la ghost writer.

E tu, che sei nascosto tra le lenzuola blu, mi guardi con un occhio solo. 
Ma che dici, mi dici.

Mi riesce così bene fare l'invisibile.

Ma non fare la stupida, ma quando mai. E ridi. 
Mi prendi la mano, l'accarezzi. Io sono lì che ti guardo mentre mi guardi ed è tutto un gioco di occhiate che si ricambiano.

Per dormire uso una tua maglietta che mi arriva alle ginocchia e poi, alla fine, ci giro per casa come fosse un vestito. 
Ma a che ti servono le certezze, ma le vuoi davvero? continui a dirmi come se fossi in loop.
E, in effetti, che me ne faccio delle certezze se cambio idea continuamente, se non riesco neanche a sfiorarti una mano, se ogni volta che si concretizza qualcosa mi verrebbe da scappare.
Vedo lei che ti mette i mi piace sulle foto e ti scrive cose in una lingua vostra e però io non ho capito perché io sono sul tuo letto e lei no.

Vado a preparare il caffè e faccio le scale scalza. 
Non so neanche che sapore abbia il caffè che faccio per te, quanto mi fa schifo il caffè.
Ti sfioro la punta del naso e tu mi dai un bacio.

Pensavo alla sera in cui mi hai detto che non puoi rischiare con me.
E se una mattina mi sveglio e tu non ci sei più? E se una mattina ti svegli e mi dice che sei stanca di me? Come la rimetto in equilibrio la mia vita se ti do' tutto e tu te ne vai? 
Al massimo ti potrei insegnare a stare sulle punte o che ne so a fare un piquet. Se mi ricordo come si fa.

Stanotte ho sognato che mi chiamavi amore e mi sono svegliata incazzata con il mondo. 
Pensa quanto riesco a essere stronza.
E, allora, fammi spazio e abbracciami forte e restiamo per un po' così che adesso va bene, oggi va bene e domani chissà.



giovedì 8 gennaio 2015

Capodanno



A capodanno, in un momento di ubriachezza felice, che io ero seduta sul bidet, Lei si guardava allo specchio e mi diceva: sei felice? L'anno scorso, a quest'ora, a capodanno, l'anno scorso, eravamo appena rientrate dal funerale e abbiamo bevuto amaro fino alle 6 di mattina pur di non piangere. Quest'anno, questo capodanno, ora, sei felice? 
E io continuo a rispondere di sì, anche se casa non aveva una lucina di natale, anche se non c'era un albero, anche se mia nonna quella cosa continua a chiamarla "u mali tintu, ca pregamu u signuruzzu ca ni facissi a grazia".
Non lo so se il signuruzzu ci fa la grazia, so che ho scoperto che essere grandi o piccoli è solo molto relativo. 
Io, per esempio, forse sono anche grande ormai ma certe domande non riesco mai a farle e certe risposte mi spaventano come quando ero bambina.