lunedì 16 marzo 2015

Codice 1


C'era il sole l'altro pomeriggio a Roma.
E no, non sta diventando un blog sul meteo. O forse sì. 
C'era il sole e mi sono sentita libera di non fare nulla se non guardare i bambini che giocano a pallone, si strappano i pantaloni, s'insultano.
Mi sono sentita libera di sdraiarmi al sole, con la musica nelle orecchie, e i cani che mi correvano vicini.
C'è che in questo periodo mi voglio bene. Davvero.
Fanculo a quello che devo e che non devo fare, a quello che posso e non posso dire, agli obblighi verso terzi, agli inchini e alle giravolte per fare bella figura.
C'è che sì, porca troia sì, mi voglio bene come una che si è annientata e costruita da sola, come una che ha pianto mille volte senza chiedere aiuto, come una che la notte non ha dormito mai mai mai. 
Dormo, adesso dormo. 
Verso l'una, o al massimo le due, mi metto a letto e dopo la buonanotte so che posso dormire almeno fino a quando la luce non farà capolino nella stanza. Che è sempre troppo presto.

Mi ascolto molto e ho imparato che c'è una differenza enorme tra il volersi bene e l'essere egoisti e che, soprattutto, prendersi cura di se stessi non vuol dire essere presi di sé.
Mi voglio bene anche se non mi concedo mai, anche se non riesco mai a dire grazie senza abbassare gli occhi a terra, anche se non riesco a farmi abbracciare senza morire di imbarazzo.
Sono così, «una di quelle che si fa la sua vita mentre tu ti fai la tua.», dicono.
Poco fisica, dicono. 

Non esco mai il sabato. Per scelta. Cerco di evitare feste, discoteche, aperitivi, prendiamociunabirraincentro. Perché che ne sapete voi di quanto mi piaccia molto di più fare una doccia, mettere qualcosa di comodo, bere un tè e guardare un film. 

Passo molte tempo da sola e in silenzio a coltivare pensieri. A mettere le doppie spunte agli obiettivi che mi sono data. Pure se irraggiungibili. 

È questione di guardare tutto quello che ti succede, tutto, dalla giusta prospettiva. A dare delle priorità. A darsi delle grosse pacche sulle spalle quando inizia lo scoramento. 

Le malattie. Google. La misericordina della signora bionda. Le parole scientifiche che non capisco. I termini medici che sto imparando. Quelli che fanno le vittime. La gente negativa. Le torte che vorrei imparare a fare. Il panico che mi viene certe sere. Le persone che non riesco a guardare negli occhi. Il raffreddore che non passa da Dicembre. Tutti quelli che non posso vedere finché non passa il raffreddore. Ogni settimana dalla dodicesima a oggi. 

La tua voce al telefono. 

Il mio posto nel mondo. 

È tutta una questione di darsi un codice d'importanza. 
E io al primo posto, pure prima delle ricerche di Google che non mi renderanno più utile alla causa, ho messo la mia, la nostra, serenità.

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