martedì 28 aprile 2015

Mentre tu sei vivo

A un certo punto il telefono ha vibrato e io l'ho fissato per un paio di minuti, perché ho un esame tra poco, perché non so un cazzo, perché non ho tempo di parlare a telefono.
Poi, invece, ho risposto.
Dall'altra parte una voce diversa, affannata, che dice le cose tutte insieme senza respirare.
Ma di cosa stai parlando, dico io, ma io non ne sapevo niente.
Sei vivo, dicono. 
E lo dicono come fosse la più grossa grazia del cielo, come se dovessi ringraziare qualche dio per questo.
A me invece viene solo da piangere.
Mi metto per terra e mi manca l'aria.
Penso a quanto costerebbe un volo se andassi adesso a Fiumicino.
Penso a quanti giorni potrei impiegare per fare 1000 km a piedi.
Che in fondo, consumerei molte suole di scarpe se sapessi che serve a qualcosa.
Potrei anche imparare a nuotare che chissà quante volte ci hai provato ad insegnarcelo e ci tenevi sotto la pancia mentre facevamo il morto, che si chiamava ancora fare il morto e non come ora che ai bambini si dice "fare la stellina", così non s'impressionano.
Ci tenevi da sotto la pancia e poi, a un certo punto, toglievi la mano e noi dovevamo imparare a fidarci di noi e non più di te. Dovevamo respirare e galleggiare. La cosa più facile del mondo.
Non sto respirando da qualche minuto, mi devo ricordare di farlo ogni tanto perché mi accorgo di essere in apnea. 
Eppure sei vivo e anche io sono viva ma non siamo vivi uguali.
E odio questa casa così distante e mi detesto perché non riesco a parlare con nessuno di te, del casino che ho in testa.
Chissà quando è successo che mi hanno convinto del fatto che raccontarsi è una debolezza e che, soprattutto, mostrarsi fragili è solo una vanità inutile.
Quando le ragazze tornano a casa, mi trovano con gli occhi rossi, la faccia sbattuta e io continuo a dire che va tutto bene, ho solo sonno da recuperare.
Va tutto bene. Respiro. E anche tu respiri.
Poi, m'immagino un giorno che entri in casa e dici "a sgrinfia unni è" e io magari rido o magari ti dico che ci stai facendo piangere tutti da mesi e ti faccio promettere che non lo farai mai più. Che il tuo corpo non ti sarà mai più nemico.
Promettimelo e io imparo a nuotare, davvero.

domenica 5 aprile 2015

Di questi cazzo di anni zero

Cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. 
E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi che mi mancano praticamente tutti i pavimenti. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. 
E sarei sempre sugli eurostar e sulle frecce rosse a sfogliare riviste, per venirti incontro. Stammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore di macchina o trenta euro di treno.
Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando anche male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer. 

Vasco Brondi
Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero.