giovedì 26 dicembre 2013

So be good for goodness sake (Santa Claus is coming to town)


I primi Natali di cui ho ricordo sono chiassosi, confusi e incasinati. Perché qui, prima, si festeggiava in grande.
30, 40 persone in una stanza. La tombola, il mercante in fiera, i bambini che piangevano, che si rincorrevano, che cadevano. Erano Natali a porte aperte con cugini di primo, secondo, ottavo grado; suoceri, consuoceri, suoceri dei suoceri, cugini dei suoceri, vicini di casa dei cugini.
Tipo che annoiarsi era praticamente impossibile. 
Mi ricordo i cenoni della vigilia festeggiati a casa di una zia, con tavoli sparsi un po' per tutta la casa, mi ricordo le mille lire che mio zio mi passava sotto il tavolo quando si giocava a carte, mi ricordo gli scintillini che davano a noi bambini per festeggiare l'arrivo dell'anno nuovo.
Mi ricordo il Capodanno del 1999, che si cambiava il millennio, e io dicevo a mia cugina che 2000 era un numero troppo assurdo, allora lo scrivevo con un dito sulla carta da pareti della casa di zia. 2 0 0 0: guarda quanti zeri! Ci pensi? 2 0 0 0.
Mi ricordo che la felicità non era tanto scartare i regali, ma stare insieme e l'odore delle lasagne appena sfornate, gli antipasti su tutti i tavoli, il vestito buono delle feste, le candele alla vaniglia. 
Per tutti questi motivi non dovrei schifare così tanto il Natale eppure è un periodo che mi rende nervosa.  Perché i messaggini preconfezionati e mandati prima della mezzanotte, quelli che ti taggano su tutte le foto in tema per augurarti delle "serene feste", quelli che devono pubblicare duecento foto dell'albero per farti vedere che, sotto, ci sono i pacchetti di Tiffany e Chanel (esticcazzi!), quelli che non senti mai e poi resuscitano a Dicembre, io, tutti questi, non li sopporto.
Mi metto tristezza a vedere la gente nei supermercati, nei negozi di giocattoli, avvolta nelle pellicce fuori la porta della chiesa. 
Così da un paio di anni non mando auguri, non chiamo la gente, faccio regali solo se mi va e se c'è qualcosa che mi piace davvero, passo il Natale seduta per terra a giocare con la seienne.
Che io ho avuto feste sempre divertenti e lei no.
Ieri la guardavo mentre sistemava il succo di frutto e i biscotti per Babbo Natale. 
Anche se c'era l'annosa questione del camino che a casa sua non c'è. 
Se non scende dal camino, questo Babbo Natale da dove entra? 
Dalla finestra, ho detto io.
Sono chiuse, ha risposto lei.
E allora ha le chiavi di casa, ho detto io.
E lei si è stupita perché il porta chiavi doveva essere praticamente enorme. Miliardi di chiavi di casa. Oppure una sola, chi lo sa.
E forse questo Natale, di regali fatti con il cuore e pensieri sentiti, mi è stato un po' meno stretto. Ha vestito un po' di più la mia taglia, mi ci sono sentita quasi bene.
Guardando gli occhi della seienne mentre scartava la sua prima chitarra, cantando "tu scendi dalle stelle" con la voce più cretina che ho, ridendo con la nonna delle cose che non sa e che non so neppure io, giocando con la treenne che questa storia dei regali non ce l'ha ancora molto chiara.
Guardando un panorama bellissimo, che sembra quasi un presepe, alle 4 del mattino con gli amici con cui fai la notte di Natale (post cena con parenti, of course) ormai da anni, sempre quelli e sempre uguali.
Parlando di Andrea Pazienza, che non si fa mai abbastanza. 
E anche di quanto mi manca Roma, ma per ora abbracciatemi e non ci pensiamo (anche perché poi, quando sarò di nuovo a Roma, mi mancheranno gli abbracci e non potrò dirlo a nessuno).
E' stato un Natale dolce, come il pandoro con i cuoricini rosa e le stelline, che la seienne è impazzita quando l'ha visto.
E' stato un Natale non chiassoso ma di famiglia, d'amore, di calore, con poche luci e nastrini e ornamenti ma con l'essenziale.
E' stato perfetto.
E' stato il Natale che io penso sia Natale, che non è festeggiare l'arrivo di un bambino salvatore sulla terra ma festeggiare l'amore, gli affetti, curarsi le ferite dell'anima con abbracci interminabili e sessioni spietate di cibo al cioccolato.
E forse non sono più così tanto un grinch.

E sempre forse, questa potremmo chiamarla felicità. 
Lo so, lo dico spesso e poi torno a scrivere cose tristi ma è vero, sono felice. A giorni alterni.



1 commento:

  1. quanto ti capisco! faccio queste osservazioni ogni santissimo anno e ogni santissimo (in tutti i sensi) Natale...
    Rivoglio i Natale chiassiosi! Uffa!

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