Quando da piccola pensavo di avere troppe cose dentro, allora, mi mettevo con la testa dentro un cesso e vomitavo.
Era l'unico modo per fare uscire tutto: le gioie, la rabbia, le delusioni, l'amore.
Ho sempre pensato che era il troppo amore, a cui non volevo piegarmi, che non volevo dentro.
Alzavo la tavoletta e giù a vomitare.
Quando da piccola vomitavo, poi piangevo.
Era tutto così strano, così liberatorio, così una merda che ancora adesso mi sembra di sentirla addosso.
Era tutto così strano, così liberatorio, così una merda che ancora adesso mi sembra di sentirla addosso.
C'erano periodi che contavo le calorie prima di mangiare, che bevevo un solo bicchiere d'acqua, che masticavo una gomma per tutto il giorno e più lo facevo e più mi disgustavo.
Ci sono stati giorni in cui ho mangiato tutto quello che avevo a tiro, senza sentirne il sapore, senza capire se fosse dolce o salato, masticando velocemente come se io quel cibo più che gustarlo lo volessi annientare. Poi, piangevo. Poi, vomitavo il mondo.
È durata degli anni così. Tra alti e bassi.
Nel duemilacinque, mi pare, uscivo con quello con gli occhi azzurri. Mi piaceva. Mi piaceva in un modo un po' particolare. Perché alle mie compagne di classe, alle altre della scuola, lui piaceva perché era un "figo". A me piaceva perché ridevamo sempre, perché aveva degli occhi azzurri che dentro ci annegavi, perché mi diceva "sei una nana" e io rispondevo "sei un cretino" e lui mi diceva "e tu sei bellissima".
Non è mai stato il mio fidanzato. Lo era delle altre ma mai il mio. Io c'ero e restavo li, silenziosa, ad aspettare che capisse che le altre lo vedevano solo bello e io, invece, lo vedevo tutto.
Ci trovavamo la notte, sempre nei posti più strani. Lui mi baciava, io lo scansavo e alla fine cedevo.
Tornavo a casa e vomitavo.
Vomitavo i suoi baci, vomitavo i miei no che diventavano sì, vomitavo l'amore che avrei voluto dare a lui ma che lui non si prendeva. Pensavo che era così che andava l'amore. Penso che sia così che va l'amore.
Sul diario, nella pagina dell'otto febbraio duemilacinque, c'è una frase: quod me nutrit me destruit.
Sul diario, nella pagina dell'otto febbraio duemilacinque, c'è una frase: quod me nutrit me destruit.
Ci credevo davvero.
Quell'anno rifiutavo il cibo, i pantaloni taglia 38 mi cadevano, ero gialla e sempre incazzata.
Ma io quell'otto febbraio me lo ricordo perché è venuta Lei e mi ha detto che il gioco non le piaceva, che se cadevamo, allora sarebbe stato insieme.
Ci siamo smezzate un quadratino di cioccolato, 125 kcal, un the alla pesca, 62 kcal.
E ci siamo tenute per mano che nessuno doveva andare in bagno e vomitare odio.
Lei diceva che quello con gli occhi azzurri era un cretino. Che ne sa quanto sei speciale, che ne sa di quello che si perde.
Qualcuno a rileggere direbbe che sono disturbi alimentari. Io boh, non ci giurerei.
Mi sono sempre fermata un passo prima, perché avevo una famiglia incazzata quanto me, una madre che controllava quante volte entravo al cesso, un'amica che mi teneva per mano.
Sono svenuta varie volte e tutte quante mi sono ritrovata per terra con dello zucchero sotto la lingua.
È tutto a posto, dicevo: ne sto uscendo, adesso rido, adesso mangio, non vomito più, sto ingrassando.
E la gente smetteva di fissarmi.
Avevano paura delle parole, di dirmi sì sei più grassa, sì sei più magra, sai che stai bene?, secondo me dovresti fare un po' di attività.
Non mi guardavano, non mi parlavano, non sorridevano ai miei deliri ma neanche s'incazzavano. Era più facile fingere di non vedere piuttosto che guardare bene in faccia la realtà.
Schivavano le domande, i miei sguardi, i miei dubbi.
Che sia mai che la bambola pensi che è ingrassata e torna con la faccia dentro al cesso e noi neanche ce ne accorgiamo.
Invece, avrei voluto risposte, avrei voluto gente che mi trattasse male, che mi dicesse che ero una cretina perché io mi sentivo una stupida.
Che sia mai che la bambola pensi che è ingrassata e torna con la faccia dentro al cesso e noi neanche ce ne accorgiamo.
Invece, avrei voluto risposte, avrei voluto gente che mi trattasse male, che mi dicesse che ero una cretina perché io mi sentivo una stupida.
Dicevo: hei io sono una guerriera, non mi fanno paura le parole, mi fanno paura i sentimenti.
Per anni è andata così anche quando ho avuto tutto. Cumulavo cibo e rabbia e amore e passioni e sogni da tenere in silenzio e paure.
Le ho tenute sempre per me e con me.
Ci sono cose come queste che non si possono e vogliono condividere con nessuno.
E anche adesso tremo un po' al pensiero che le leggerete.
Oggi, ho mangiato cioccolato, mozzarella, nutella, una piadina, cioccolato.
Senza un ordine, una logica, una voglia.
Riempio un vuoto che un secondo dopo voglio svuotare.
Voglio vomitare come quando avevo 15 anni o 17 e, invece, adesso ne ho 23 e dovrei essere "grande".
Ok, è così che vanno le cose.
L'amore è per le altre, quelle che non fanno troppe domande.
A me resta il senso di nausea come quando sei con lui che sta dormendo e sai che appena si sveglia, dovete scendere e tornare alla vita reale.
Quella dove tu non esisti.
Quella dove tu non esisti.
Vomito.
Le ho tenute sempre per me e con me.
Ci sono cose come queste che non si possono e vogliono condividere con nessuno.
E anche adesso tremo un po' al pensiero che le leggerete.
Oggi, ho mangiato cioccolato, mozzarella, nutella, una piadina, cioccolato.
Senza un ordine, una logica, una voglia.
Riempio un vuoto che un secondo dopo voglio svuotare.
Voglio vomitare come quando avevo 15 anni o 17 e, invece, adesso ne ho 23 e dovrei essere "grande".
Ok, è così che vanno le cose.
L'amore è per le altre, quelle che non fanno troppe domande.
A me resta il senso di nausea come quando sei con lui che sta dormendo e sai che appena si sveglia, dovete scendere e tornare alla vita reale.
Quella dove tu non esisti.
Quella dove tu non esisti.
Vomito.